Omelia della nostra sorella Giovanna in occasione del triduo di S. Elisabetta
Innanzi tutto
ringrazio P. Arsenio che anche questa volta dà a noi dell’ordine francescano
secolare l’opportunità di parlarvi dei nostri Santi protettori ma soprattutto
dei nostri esempi da seguire, come è appunto Santa Elisabetta d’ Ungheria patrona dell’ ordine secolare.
Un anno fa sono stata invitata a parlarvi della santità di
Elisabetta oggi ci soffermiamo sull’aspetto della carità.
La sua breve ma intensissima vita è piena di straordinari
episodi, che mettono in luce come Elisabetta ha vissuto l’aspetto della carità,
fatta di azioni e gesti appassionati tutti tesi, in ogni momento, in ogni
situazione, in ogni condizione, a manifestare l’amore a Colui che per amore si
è dato totalmente a noi. – tutto ciò che fa Elisabetta, lo fa PER AMORE DÌ
GESU’ ed è questo che la rende santa.
Elisabetta nella sua giovane età ha un’idea molto moderna e
innovativa del vivere la fede e del fare la carità; sicuramente anche
scioccante nel tempo in cui viveva appunto nel medioevo.
Elisabetta è regina, e anche in questo vive ed attua un
concetto di una regalità tutto nuova, è una regina che non si appropria dei
beni, ma li condivide, è una regina che non si fa servire ma che si fa serva di
tutti e in particolare degli ultimi, ed è, soprattutto una regina prostrata
giorno e notte davanti all’unico vero re, che riconosce, il Signore Gesù, vive
di Lui e si ciba di Lui e della sua Parola.
Credo che in questi momenti di meditazione la lettera di San
Paolo ai Corinzi sia stato il suo pane quotidiano assimilandola fino in fondo, fino
a diventare energia vitale mettendo in pratica quanto dice: (I Cor.
13,3-8) “E se anche
distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma
non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la
carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di
rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male
ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta. La carità non avrà mai fine.”
La vita e l’ opera di Elisabetta e fondata su questo ed è pura
testimonianza tutta avvolta nella carità che è Dio.
Ella mette in pratica questo credo, questa fede, sposando
appieno e abbracciando con gioia il programma d’ amore che Francesco d’
Assisi in quel tempo andava
predicando. Incarna e interpreta in maniera
eccelsa il concetto dell’essere “fratelli e sorelle della penitenza” - Elisabetta è la primordiale
francescana secolare, è la capostipite dei terziari francescani che ai suoi
tempi si chiamavano appunto “ fratelli e sorelle della penitenza”- a cui ci
chiama ancora oggi la Chiesa sulle orme di S. Francesco.-
Elisabetta vive pienamente nei fatti e ci indica come la via della
penitenza e della conversione non è qualcosa di mortificante e di lugubre ma
vivere la penitenza è per Elisabetta
soprattutto e innanzi tutto un programma d’ amore e di crescita nell’
amore – anche questo è un’ altro modo molto moderno del suo stile per come
interpreta il concetto della penitenza e probabilmente anche scandaloso a quel
tempo.-
Sente forte in lei questa vocazione di essere pienamente calata nel tessuto
sociale e di operare tra gli uomini con amore, misericordia e carità e lo fa
per due motivi :
- crede che così si rinnovino i rapporti tra gli uomini e - si rinnovino si rafforzino i rapporti tra gli uomini e Dio.
Questo è l’ annuncio salvifico che sente di dover portare. – qui mi ricorda San Francesco “ va e ripara la mia Chiesa ”-.
Altro aspetto importante e che Elisabetta non vive ed opera
la carità con stile romantico e sdolcinato con la sua vita ci dice che la felicità non sta nell’aggrapparsi alle
sicurezze materiali o rifugiarsi in una
religiosità disincarnata, ma sta nello spendersi, nel compromettere la propria
vita, nel mettere in gioco il talento ricevuto, la grazia ricevuta, e di
farlo tra gli uomini, con gli uomini,
per gli uomini, fratelli che il Signore ci ha donato, e Lei lo fa fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo
momento della propria vita. - come ascolteremo tra qualche sera nel suo transito.-
La sua carità ha varie caratteristiche: si fa audace, ha
senso di giustizia, va contro corrente, non si limita all’azione immediata. Si
fa provvidente, educatrice, aiuta a crescere e ad alzare la testa, dando a
ciascuno non solo il necessario per sopravvivere, ma anche gli strumenti, la dove
è possibile, per lavorare e per affrontare il futuro. Restituisce così dignità
al povero, al più debole, additando a tutti la necessità di partire dai più
deboli, di tenere conto dei più deboli proprio come fatto di civiltà. Elisabetta
cerca di curare e custodire ogni dignità negata, violata, calpestata, non ci
sono limiti alla sua donazione, al suo impegno per il bene, perché la sua misura
è la misura altissima, è quella della passione di Cristo crocefisso.
Quando ormai non più regina, cacciata dal castello e potrà disporre così
pienamente di se stessa, arriverà ad accogliere come figli i malati più
ripugnanti, sentendoli come il dono più prezioso del Signore, sentendo tutta la
gioia di potere in loro “lavare il Signore”, accudire le sue membra. Questa è
la grandissima forza delle opere di carità di Elisabetta.
Altra caratteristica della carità che opera Elisabetta è la
concretezza costruisce il primo ospedale come laica per soccorrere i malati, i
pellegrini, i diseredati, i poveri, dove lei stessa ogni giorno serve con le
sue mani;
e ancora altra caratterizza del
la sua opera di carità è il coraggio
denunciando, addirittura con l’astensione dal cibo, tutto ciò che è opera di
ladrocinio sui poveri, tutto ciò che è stato sottratto alla mensa dei poveri,
mettendosi così ancora una volta dalla loro parte; e arriva come donna, a dare
esempio di autorità come servizio al bene comune.
Elisabetta pur essendo così lontana nel tempo possiamo dire
che è così attuale nei suoi insegnamenti ed esempi da seguire, come non
interrogarci sulle situazioni in cui versa la nostra società e guardare a
lei che ci invita a mobilitarci per la
pace e il bene , ci richiama al senso della giustizia dell’ onesta operando
sempre con amore e per amore.
Pace e Bene
Giovanna Sindaco, Ofs,
15 novembre 2012,
in occasione del Triduo per S. Elisabetta
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