Omelia della nostra sorella Paola durante il triduo di S. Elisabetta
Nella Bolla di canonizzazione anno 1235, quando
sant’Elisabetta fu proclamata santa, si legge:
“Siamo investiti da un turbine di stupore per i meriti della Santa, la
quale visse povera di spirito, mite nella mente, deplorante i peccati propri e
quelli altrui, sitibonda di giustizia, dedita alla misericordia, monda di
cuore, veramente pacifica, …”
Sant’Elisabetta d’Ungheria incominciò presto a distinguersi
in virtù e santità di vita.
Figlia, regina, sposa e madre di tre figli, nel tempo breve della
sua vita - soltanto 24 anni - ha vissuto in modo intenso il suo rapporto
con Dio e lo ha fatto coltivando la vita di preghiera e la vita attiva attraverso
la cura dei bisognosi. Difatti, conobbe e amò Cristo nei poveri.
Il suo direttore spirituale Corrado da Marburgo ha
raccontato che raramente ha visto una
donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività.
Quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile
splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
Sant’Elisabetta può essere considerata un vero gigante della
fede, della speranza, della carità; che nella sua breve, ma intensa vita ci ha
manifestato tutta la potenza dell’amore del Signore che ha reso fecondo ogni
attimo della sua esistenza, e non solo per il suo tempo, ma per ogni tempo.
Una santità vissuta nella condizione di laica.
La sua testimonianza ci propone la vita cristiana come
grazia, come dono di Dio, che viene elargita ai poveri di spirito, in un
impegnativo cammino di conversione (“penitenza”), e traccia, in una interazione
continua tra contemplazione e vita nel mondo, un avvincente percorso di carità
per tanti uomini e donne chiamati a vivere lo spirito di Cristo nella
quotidianità ed è un invito per tutti a vivere lo spirito di Francesco
d’Assisi.
Sant’Elisabetta, nel suo cammino incessante per conformarsi
a Cristo e farsi tutto a tutti, ha rafforzato l’azione missionaria della
Chiesa, incarnando e diffondendo la spiritualità francescana come fermento di
vita evangelica nelle comuni occupazioni del mondo, ponendo il principio della
fraternità a fondamento del rapporto tra gli uomini.
Pur nella sua breve vita, e come donna, ha vissuto da
protagonista nella sua epoca quanto il francescanesimo richiede in ordine allo
stile di vita, alle relazioni familiari e interpersonali, alla riconciliazione
tra le classi sociali, all’amministrazione dei beni, alla cura della “città”.
Così Sant’Elisabetta ha abbracciato la scelta di vita
francescana,
sentendola propria vocazione, avvertendola come proprio modo
di essere nel mondo.
Ella divenne terziaria francescana. In realtà, al tempo di
Elisabetta non si usava ancora il
termine terziaria. Ma c’erano numerosi penitenti; molti uomini e donne del
popolo seguivano la vita penitenziale indicata da san Francesco e diffusa dai
suoi frati. Ed Elisabetta incarnò lo spirito penitenziale di san Francesco,
ossia abbandonare la vita mondana,
praticare la preghiera, la mortificazione ed esercitarsi nelle opere di
misericordia.
Entrò nell’Ordine della Penitenza quando era ancora in vita
il marito Ludovico di Turingia; quando poi divenne vedova emise un ulteriore
professione di fede: un Venerdì santo, quando gli altari erano spogli, poste la
mani sull'altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati
Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte
le vanità del mondo e a tutto quello che nel vangelo il Salvatore ha
consigliato di lasciare.
Così S. Elisabetta ha vissuto in pienezza il Vangelo della
carità, della misericordia, dell’amore, nel secolo, nel mondo, e lo ha fatto
nella sua condizione di regina, di sposa, di madre, poi vedova, ma comunque di
donna laica, tra l’altro in un tempo -
quello medioevale - dove l’onnipotenza
del signore feudale era indiscussa.
Come san Francesco, Sant’Elisabetta si è sentita chiamata a vivere
“senza nulla di proprio” e ciò significa vivere non ponendo se stessi al centro
della propria vita, ma ponendo Dio al centro e il suo mistero di amore, che ci
rende figli e ci rende fratelli, non trattenendo niente per sé ma restituendo a
Dio ciò che ha dato e condividendolo con i fratelli.
Ed Elisabetta ha fatto tutto questo nella sua condizione di
laicità, nella fedeltà più piena alla propria posizione, alla propria
condizione nel mondo, perché questa condizione fa parte del dono di Dio, è
grazia di Dio, è terreno in cui seminare il bene e volgere il cuore dell’uomo
alla misericordia di Dio.
Sant’Elisabetta si pone come esempio attuale per noi perché
seguire le orme di Cristo non comporta per noi laici abbondanare tutto, nel
senso di uscire dalla condizione di vita, di famiglia, dal proprio posto nella
società. Al contrario si tratta di uscire invece da tutti gli egocentrismi che
dominano la nostra vita: dalle ingiustizie, dall’indifferenza,
dall’assuefazione (tutto ciò che rappresenta la vita animata dallo spirito
della carne come ci ricorda s. Paolo) per assumere la propria condizione di
vita nel mondo in modo nuovo, non da padroni ma da amministratori fedeli, a
partire dalla propria quotidianità.
Elisabetta oggi ci ripropone la via francescana e ci ridice
che la perfezione della carità non è una ascesi individualistica, ma è condivisione,
condivisione piena: è uno “stare tra”, è uno “spezzare il pane con”, come
Cristo è venuto a spezzare il pane con noi fino a farsi nostro “pane”.
S. Elisabetta ci ricorda che siamo chiamati a metterci in
cammino; ci invita a convertire la ns. vita e ci esorta all’ordine dell’amore
di Cristo da seguire nella ns. vita e a realizzare il piano d’amore di Dio per
tutti noi e che passa dalla quotidianità della ns. esistenza e dal nostro stile di vita.
Da qui la chiamata universale alla sanità.
La vocazione alla santità è per tutti ed ognuno dei
cristiani. Tutti siamo chiamati alla santità e per tutti la santità è valore
della propria vita e dunque realtà possibile e realizzabile nella propria vita.
Noi tutti in quanto laici e secolari perché inseriti nel
mondo siamo chiamati a santificare il mondo creato rendendolo più cristiano nelle sue strutture e
sistemi. Nella Costituzione apostolica Lumen
Gentium (1964) è
scritto:
Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di
Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo,
cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie
condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come
intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di
fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la
guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri
principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della
loro fede, della loro speranza e carità.
E Giovanni Paolo II, nella Novo Millennio Inenunte (30) ha
detto: “Tutti i fedeli di qualsiasi stato sono chiamati alla pienezza della
vita cristiana e alla perfezione della carità”.
Ma prima ancora, Gesù stesso ci ha esortato: “Siate perfetti
come è perfetto il Padre vostro nei cieli” (Mt. 5, 48).
Ciò significa che donne e uomini laici, dunque, appartenenti
ad ogni professione e alle diverse condizioni familiari, svolgendo il loro
lavoro nel mondo con spirito cristiano, hanno ricevuto la vocazione di
estendere il Regno di Dio.
Ogni cristiano, e dunque anche il laico, è chiamato alla
piena sua santificazione, cioè alla più intima e profonda unione di vita
possibile con Dio nel Cristo, perché santità è sempre e solo e per tutti partecipazione
alla vita di Dio.
Il cammino della nostra santità laicale sarà il nostro
"pellegrinare
verso Dio nelle cose, nelle esperienze, nella storia di vita del ns. oggi, dell’
oggi ci occupa e preoccupa. Lo spazio della ns. santità è il "mio
oggi".
Quindi il tempo della ia santità, è l'oggi.
L’oggi è il "tempo propizio", come dice s. Paolo(cfr.
2 Cor. 6, 2), è il tempo di salvezza.
Il Santo è uno di noi che tuttavia non accetta di
compromettersi con le ragioni secondarie del vivere: avere una famiglia felice,
successo negli affari, gloria e affermazione nella società e in questa vita, o
meglio non li accetta come se fossero le ragioni principali per le quali vale
la pena di vivere. Il santo si spinge più lontano - "duc in altum" – e vive la vita e la morte e le esperienze
tutte della sua vita orientandole a Dio.
Il Santo è l'uomo che si sente forte non per le proprie
capacità, ma perché sa che tutti i suoi doni gli vengono da Dio.
Uno dei peccati più grandi della nostra cultura è proprio
quello di staccare la fede dalla vita, il culto dalla vita. Non è possibile: il
cristiano è cristiano sempre, non solo quando offre il culto a Dio, ma è
cristiano nella vita di ogni giorno.
Siamo nell’anno della fede e il Papa, Benedetto XVI, ci
invita a comprendere che il fondamento della fede cristiana è “l’incontro con
un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò
la direzione decisiva” (Lettera enciclica Deus Caritas est n.1, cfr. Lett. Ap.
“Porta fidei, introd.).
Questa è la conversione di vita da operare e realizzata da
Sant’Elisabetta, che si pone come esempio per cambiare direzione alla ns. vita,
per acquisire uno stile di vita nuovo orientato verso Dio.
Molte sono le figure di santi laici e di sante famiglie
proclamate sante che nel loro vivere quotidiano sono diventati collaboratori di
Dio.
Per rispondere alla chiamata alla santità che riguarda anche
noi laici aiutano a riflettere le parole proprio di un santo laico (Attilio
Giordani, cooperatore dell’Opera dei Salesiani, padre di famiglia, missionario,
animatore dell’oratorio): ”la nostra fede deve essere vita”; “la misura del
nostro credere si manifesta nel nostro essere”, soltanto così possiamo essere
testimoni credibili e gioiosi del Signore che è morto e risorto per noi!
Ma il cammino alla santità appare un impegno così arduo e
così grande di fronte alla ns. pochezza,
che richiede volontà e l’aiuto di Dio.
Così concludo con questa preghiera:
Prendimi come sono Signore,
prendimi come sono,
con i miei difetti,
con le mie mancanze,
ma fammi diventare come tu desideri.
Pace e Bene
Paola Di Girolamo, Ofs,
16 novembre 2012,
in occasione del Triduo per S. Elisabetta
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