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giovedì 30 settembre 2010

Il Male Infinito

Il dolore ha un elemento del vuoto non si può ricordare quando ebbe inizio, o se ci fu un giorno che ne fu privo. Non ha futuro, è lui stesso il futuro e i suoi regni infiniti hanno in sé il passato illuminati per scoprire nuovi anni di dolore.
(Emily Dickinson)

Qualche giorno fa, fasciata in un abito troppo stretto e sgualcito, con il suo passo barcollante ho visto T. venirmi incontro. Lo sguardo perso nel vuoto di sé, parlava da sola farfugliando frasi sconnesse e, quando mi è passata accanto ho capito che non poteva vedermi, era altrove dove, come canta De Andrè nel Cantico dei drogati , “ non vedo più che folletti di vetro che mi spiano davanti che mi ridono dietro”.
Ho pensato che sarebbe stato inutile provare a fermarla anche solo per un saluto o, forse, ho semplicemente provato disagio per quel male che sembra possedere T. e che si traduce come un desiderio di annientamento tremendamente irreversibile.
T. oggi ha trent’anni, è cresciuta in Sicilia dove dell’infanzia non ha ricordi sereni per i litigi che quotidianamente portavano sofferenza ed insicurezza per lei e suo fratello minore S.
Le scenate erano a volte violente perché sua madre era troppo bella e poi lavorava come commessa, preferiva non dipendere . Questo faceva infuriare il padre e per un po’ la separazione sembrò il male minore ma anche questo durò poco. T. fu affidata alla madre ma spesso restava da sola e le amicizie sostituirono quel bisogno di appartenenza a cui riferirsi per crescere. Aveva appena tredici anni quando si innamorò teneramente come accade a quell’età ma il suo primo ragazzo, diciottenne, un giorno la portò in aperta campagna e la obbligò ad un rapporto orale. Rimase sconvolta non capì cosa le fosse veramente accaduto ma le botte che seguirono erano il chiaro segnale che non doveva parlarne a nessuno e che soprattutto “l’amore sognato” ti sporca, ti infrange e ti precipita nel vuoto.
Sua madre era sempre più bella, troppo occupata a difendere i propri spazi per avere tempo di ascoltare i suoi silenzi ed accorgersi delle sue assenze. T. frequentava la scuola sempre più saltuariamente, iniziava a fumare spinelli e poi scoprì che quando beveva le pesava meno fare ciò che i ragazzi le chiedevano senza farsi scrupolo come fosse un gioco a cui, devi starci, per non restarne esclusi e accorgerti, così, di esistere.
Sua madre era sempre più triste, iniziava a cambiare, troppo spesso appariva impaurita e T. la trovava in lacrime. Probabilmente c’era qualcuno che non accettava la fine di un amore ed il clima vissuto era di minacciosa inquietudine. La madre le chiedeva con insistenza di non fare tardi , era angosciata ed anche quella sera le sembrò quasi che volesse implorarla di non uscire.
Quando si è ragazzi troppe volte non si ha la misura del tempo ed anche una semplice chiacchierata con le amiche sembra un evento irrinunciabile e difficilmente rinviabile. E quella sera T. fece ancora più tardi e mentre si avvicinava verso casa quell’assembramento di macchine e di persone, la luce intermittente delle sirene improvvisamente le diede la dimensione che il tempo intorno a lei si fosse, invece, definitivamente fermato.
Si fece spazio tra i curiosi e i poliziotti, salì le scale velocemente ed il cuore le si fermò alla gola, quel lenzuolo impregnato di sangue lasciava scoperta soltanto una mano che T. avrebbe per un’ ultima volta voluto stringere e, magari con un forte strappo tirare fuori di lì la sua dolcissima e bellissima mamma.
Non riuscirono mai a provare chi fosse l’assassino ma, spesso, T. ne subiva impotente la sua presenza.
Questo sconvolgente evento la trascinò sempre più in una deriva che non trovava ostacoli anche i Servizi Sociali erano sempre un passo dietro di lei. Tante furono le comunità terapeutiche, tante le fughe, tanti i furti per procurarsi la droga ed il carcere e poi ancora la comunità.
Conosce un uomo più grande di lei e per un po’ sente di potersi affidare, una storia intensa, rassicurante quanto breve, V. muore in pochi mesi e la disperazione la porta sulla strada.
Qualche anno fa sembrava esserci stata finalmente una svolta, l’incontro con P. anche lui ospite di una comunità, aveva acceso una piccola speranza, aveva aperto un inaspettato spazio alle emozioni e di colpo T. si era sentita meno sola. Il percorso fatto insieme si apre ad un progetto di vita e decidono, troppo presto di uscire dalla comunità per andare a vivere insieme. Questo incontro rivelò tutta la sua forza nelle rispettive fragilità e dopo poco produsse un’alleanza perversa che non si modificherà neanche dopo la nascita della bambina.
I S.S. debbono subito occuparsi della piccola poiché alla luce conosce il disagio di una crisi di astinenza.
Con l’aiuto dei familiari di P. provano ad allevare la piccola in un altalenante cammino di cadute e tentativi di ripresa ma, il male che si allea diventa una catena che li immobilizza spingendoli solo verso il fondo. Persino l’anziano suocero trova nella dipendenza di T. il suo sporco vantaggio ed il bisogno di soldi ha un ulteriore prezzo per il suo corpo oltremodo abusato.
La piccola M. è una luce che non trova spazio nella vita di T. e neanche dopo l’arresto del compagno, che poteva rappresentare un elemento di distanza utile a ritrovare un cammino personale di uscita, T. riesce ad alzare lo sguardo verso il cielo. La detenzione di P. rappresenta per lei un altro abbandono l’ultimo per il quale scegliere di varcare definitivamente quella porta oltre la quale affogare nel buio del suo male.
Un buio fatto di vuoto senza fine dove il dolore non ha suono.
Mi volto a guardarla ondeggiare con il suo passo barcollante naufragare nel suo male infinito.
Ida Floridia

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