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giovedì 30 settembre 2010

Liberi di Scegliere?

Nelle varie situazioni della nostra esistenza, siamo liberi di scegliere?
Dai la tua risposta
Racconta una tua esperienza

La Scelta

Non c'è nulla che spaventi di più l'uomo che prendere coscienza dell'immensità di cosa è capace di fare e diventare. »
(Søren Kierkegaard)

Ciò che contraddistingue l’esistenza dell’uomo singolo rispetto agli altri esseri viventi è la possibilità di scegliere e la libertà di decidere.
Il comportamento dei singoli animali è condizionato necessariamente dall’istinto. Invece i singoli uomini, nel corso della loro vita, si trovano sempre di fronte a più possibilità di fronte alle quali sono totalmente liberi di decidere.
La libertà di scelta però è anche responsabilità individuale di fronte al bene e al male. E da questo punto di vista la possibilità genera nell’uomo il caratteristico sentimento dell’angoscia..
Le diverse determinazioni che può prendere la vita umana non sono altro che possibilità che l'uomo si trova di fronte e tra le quali deve scegliere. Questa totale apertura verso il possibile, la condizione di incertezza e travaglio di fronte alla scelta tra le possibilità dà vita all'angoscia. Essa è quella "vertigine" connaturata all'uomo che deriva dalla libertà, dalla possibilità assoluta. Subentra l'angoscia quando si scopre che tutto è possibile.
Ma quando tutto è possibile è come se nulla fosse possibile. C'è sempre la possibilità dell'errore, del nulla, la possibilità di agire in un modo che nessuno sa che cosa accadrà.
L'angoscia, a differenza della paura, che si riferisce sempre a qualcosa di determinato e cessa quando cessa il pericolo, non si riferisce a nulla di preciso e accompagna costantemente l’esistenza dell’uomo. Kierkegaard vive e scrive sotto il segno di questa incertezza: di fronte ad ogni alternativa, l’angoscia non è un sentimento che possa essere o non essere presente nell’uomo: l’angoscia è essenzialmente connessa all’esistenza umana, in quanto quest’ultima è divenire verso l’ignoto. L'angoscia è dunque letta come fondamento stesso della condizione umana,.
La scoperta della possibilità, e quindi dell'angoscia, è stata risvegliata per la prima volta in Adamo dal divieto di Dio. Prima di ricevere da Dio il divieto di mangiare dell'albero del bene e del male, Adamo era innocente: non aveva, cioè, la coscienza delle possibilità che gli si aprivano davanti. Quando riceve da Dio il divieto, acquista la coscienza di "poter" sapere la differenza fra il bene e il male. Diventa consapevole della possibilità della libertà. E l'esperienza di questa possibilità è l'angoscia. L'angoscia è a fondamento del peccato originale: l'angoscia, il sentimento delle possibilità che gli si aprono davanti, mettono Adamo nella possibilità di peccare, di infrangere il decreto divino.
La libertà sociale non coincide con la libertà di scelta (o d’azione), dal momento che “la libertà sociale indica una relazione tra due agenti, laddove la libertà di scelta designa una relazione tra un agente e un’azione o specie d’azione, effettiva o potenziale.
Tra gli esseri viventi l'uomo è l'unica specie che ha diverse facoltà che lo distinguono dall'animale, tra cui quella di poter scegliere coscientemente. Ciò premesso, quale significato comunemente si attribuisce al termine "persona umana"?
Comunemente la "libertà" dell'uomo è ritenuta un valore: motivo per cui le varie ideologie intendono questa "libertà" sotto angolature diverse.
L’esistenza dell’individuo si svolge in un campo di scelte, di decisioni fra diverse alternative possibili. Proprio la possibilità, non la necessità, caratterizza il modo d’essere umano. La possibilità è temporalità, una perenne instabilità del vivere. Pone l’individuo dinanzi ad alternative drastiche [...]
Annamaria Belaeff

Perchè Sono Francescano

Siamo come fogli bianchi, puliti sui quali mano a mano che si va avanti viene scritto qualcosa

E’ una domanda alla quale non è facile rispondere dal momento che la vocazione, qualunque essa sia, non è mai qualcosa di ben definito, di aritmetico, di geometrico, incanalabile in precisi schemi , né scende e si sviluppa come un fiume nel suo letto.
La vocazione, a mio avviso, si compone di tanti tasselli che maturano nel tempo della nostra esistenza: dai segni più o meno sensibili di cui il Signore ci fa dono sino al cammino umano che percorriamo e che per sempre traccerà la nostra vita.
Siamo come fogli bianchi, puliti sui quali mano a mano che si va avanti viene scritto qualcosa; tutti questi fogli andranno a comporre il libro della nostra vita ma l’ultimo foglio sarà il più bello perché sarà quello dell’incontro con il Signore dei tempi.
Dunque la vocazione ha un suo inizio in qualcosa che ci colpisce profondamente e che lascia il segno indelebile, per sempre. E’ da qui che parte la mia esperienza francescana : avevo circa cinque - sei anni, quando capitai, accompagnato dai miei genitori, davanti al bel presepe nel Convento dei PP. Cappuccini. Mi fermai incantato dinanzi alla grotta … mi divideva una rete metallica alla quale restai aggrappato a lungo soffermando il mio sguardo sul Bambinello. C’era silenzio tutto intorno perché era sera e ci accompagnava un fraticello di nome Frà Egidio, tutt’ora vivente; quel momento, quel luogo erano un incanto. 1° segno.
Passano alcuni anni e il mio amico Benedetto mi porta con sé in GIFRA; ogni sera ci si incontrava con gli amici, si condivideva il gioco, il pane, i pensieri, le risate, i dolori; in quel momento imparai a vivere da francescano: non ero più solo e la mia vita era da condividere con altre persone. 2° segno.
Passano alcuni anni, anni difficili, anni di contestazione, incontrai in GIFRA una ragazza della mia stessa età. Imparammo a conoscerci, ad entrare in piena sintonia e ad amarci; dopo un po’ divenne mia moglie. 3° segno.
Le difficoltà della vita ed i problemi più grandi di noi ci portarono ad allontanarci per un lungo periodo da quell’ambiente nel quale eravamo cresciuti; tutto sembrava finito… ma era solo un deserto che dovevamo percorrere per ritrovarci ancora nella nostra vocazione francescana. Infatti celebrammo il 25° anno di matrimonio nella Chiesa dei PP. Cappuccini al C.so Vitt. Emanuele, riprendendo i contatti con i componenti del nuovo Ordine Francescano Secolare del quale mia moglie ed io a tutt’oggi facciamo felicemente parte. 4° segno.
Questi sono i segni umani che hanno accompagnato questo percorso e che mi hanno consentito di rafforzare la mia fede, di impegnarmi come francescano nel servizio alla Chiesa come diacono, di sentirmi parte di essa, di far parte di una fraternità che ci ama e che noi amiamo come riflesso dell’amore grande del Signore dei tempi.
Ma il percorso continua, ci sono universi la cui bellezza è ancora tutta da scoprire e che ci ricon-durranno dinanzi alla grotta a contemplare la bellezza di quel Bambinello benedicente nella Gerusalemme celeste accompagnati da Francesco d’Assisi.
Gianni Improta

Il Francescano Oggi - prima parte

Se oggi San Francesco tornasse, che tipo di persona sarebbe, come si comporterebbe? Che cosa direbbe? Come potremmo riconoscerlo? Questi sono solo alcuni interrogativi che ogni giorno in molti ci poniamo unitamente ad altre domande che seguiranno nel presente articolo. Attraverso il sentiero riflessivo che percorreremo insieme nel corso della lettura di questo affascinante contributo ritroveremo il senso di appartenenza alla nostra scelta di vita e recupereremo quel comune senso di smarrimento trovando il piacere e la gioia della nostra chiamata missionaria nel nostro tempo.

PUNTO DI PARTENZA: IL FRANCESCANO OGGI COME SI DISTINGUE E CON QUALE APOSTOLATO?
Tra molti elementi di distinzione quello più significativo è l’innocenza ed il senso di missionarietà nel nostro operato, che noi tutti abbiamo perduto.
Infatti l’innocenza ci consente di cogliere i segni di vita in tutte le creature e la missionarietà di vivere dando un senso profondo alla nostra scelta francescana e alla nostra vita.
Cristo prima e San Francesco poi, ci hanno insegnato che dobbiamo imparare a rinascere, a recuperare l’innocenza e vivere il Vangelo con un senso diverso, perché altrimenti non sapremo più riconoscere la verità che ogni giorno porta con sé.
Il contatto con la natura educa l’uomo a farsi sorprendere dal nuovo con innocenza, a sapere che arriverà il momento della difficoltà e del dolore, che verrà però superato e compensato.
L’invito esteso ai laici formulata dal Santo Padre nella novella “Novo Millennio ineunte” ricorda che il Signore ci ha chiamato alla vocazione francescana per “vivere il Vangelo in comunione fraterna” per realizzare la nostra vocazione francescana non solo nella fraternità, ma con la fraternità, lavorando “come operai mandati nella vigna” del Signore, cioè nel mondo.
COSA RICHIEDE IL LAVORO NELLA VIGNA DEL SIGNORE?
La risposta la troviamo proprio nella nostra Regola e nel Vangelo: “Gratuitamente ho ricevuto, gratuitamente offro” - “Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo”. - “ L’art. 4 II capv. – capitolo II – FORMA DI VITA della regola: “ I francescani secolari si impegnino, inoltre, ad una assidua lettura del Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo [ cfr Apostolicam Actuositatem 30,8]. -“ L’art 5 regola ofs: “ i francescani secolari….ricerchino la persona vivente e operante di Cristo nei fratelli, nella Sacra Scrittura, nella Chiesa e nelle azioni Liturgiche.” -“ L’art. 6 regola ofs: “ …si facciano testimoni e strumenti della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola…..ispirati a S.Francesco e con lui chiamati a ricostruire la Chiesa….” - “ L’art. 7 Regola:…. In virtù della loro vocazione, attraverso il Vangelo…conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore …che lo stesso Vangelo designa come “ CONVERSIONE”, la quale, per la umana fragilità deve essere attuata ogni giorno. ( per questo motivo che durante questo periodo di Quaresima – di rinnovamento siamo invitati tutti a dei momenti di preghiera frequenti ed intensi) – Ed infine dobbiamo sempre ricordare tra tutti l’art. 10 della regola che ci ricorda :….. ADEMPIANO FEDELMENTE AGLI IMPEGNI PROPRI DELLA CONDIZIONE DI CIASCUNO NELLE DIVERSE CIRCOSTANZE DELLA VITA, E SEGUANO Cristo, povero e crocifisso, testimoniando anche fra le difficoltà e le persecuzioni.
LA POVERTÀ “ FRANCESCANA” DEL NOSTRO TEMPO COME SI RAPPRESENTA?
Questo è un altro punto nodale ed oggetto di attente riflessioni, ma occorre doverosamente essere ben interpretata ed intesa partendo proprio dalla regola ( cfr cfr Regola 11), in sintesi ecco come:
1. come distacco e nell’uso dei beni terreni –
2. trovare una giusta relazione ai beni terreni -
3. semplificare le proprie materiali esigenze –
4. consapevolezza di essere amministratori dei beni ricevuti a favore dei figli di Dio (cfr. Vangelo)
5. mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo.( cfr.: Mt.25,40)
Oggi in particolare, dove emergono nuove e più pericolose povertà, più subdole e silenti, l’apostolato francescano può sortire effetti positivi. Abbandono, solitudine, ozio, insidie tecnologiche e sociali (droga, dissesti ecologici) sono le nuove ineludibili sfide del nostro tempo, che possiamo affrontare con un’opera impegnata e silente. Solo allora la carità diventerà giustizia ed il servizio offerto a DIO diventerà testimonianza. Se abbiamo lavorato bene nella vigna del Signore, potremo sperare che molti altri potranno dire: “Abbiamo visto il Signore”.
Manlio Merolla

Non è Facile Cambiare

P. Luigi Monaco (1940-1993) ha speso tutta la sua vita per la formazione dei giovani. Ancora oggi i suoi scritti risultano incredibilmente attuali.

 Non è facile cambiare.
Eppure, le nostre frustrazioni, non raramente, sono il frutto di questa impazienza, il risultato di una creduta incapacità al mutamento.
Vorremmo cambiare. Eppure, diciamo, che non ci riusciamo.
Invece a lungo andare, e sono soprattutto gli altri a dirlo, ci troviamo diversi, senza quasi accorgercene.
Il mutamento, avviene, al di là del nostro impegno. L'uomo, infatti, è nel divenire. Solo Dio è, l'uomo diviene. Lo stesso "mito dell' adulto", in verità, non esiste. Che significa, poi, essere maturi? Che, forse, la persona matura, non diviene, ancora, verso una maturazione più vera e più profonda? Divenire è proprio all'essere umano.
Si tratta di innescare meccanismi tali per prendere coscienza di questa evoluzione, o, addirittura, di sollecitarla, dirigendola verso traguardi prestabiliti, voluti, desiderati.
Ciò nei confronti di tutto il nostro essere, il quale diviene sia nell'evoluzione materiale che spirituale, diviene sia nel fisico che nell'intelligenza come anche nella volontà, nelle capacità di apprendimento come in quelle conoscitive.
L'evoluzione è di per sé la condizione di ogni realtà creata. Tutto ciò che nasce, muore.
Voler dunque cambiare per migliorarsi, comporta questa fondamentale convinzione: è propria all'uomo l'evoluzione.
Questo indica una disponibilità a non assolutizzare né se stesso, né le proprie cose, né le stesse credute conquiste. Ammettere un'evoluzione, comporta riconoscere la propria relatività e con essa la provvisorietà di ciò che si è e di ciò che si fa.
Voler mutare non è nella facoltà dell'uomo; l'uomo cambia comunque.
Quando invece il mutamento è cercato per un miglioramento, per un'evoluzione positiva del proprio essere, allora sono richieste condizioni tali che urge applicare una metodologia, per meglio raggiungere il traguardo desiderato, per arrivare alla meta agognata.
Non bisogna peccare di impazienza.
Il ritmo del nostro essere è più lento di quello della nostra volontà.
E' ottima cosa che la volontà e l'intelligenza definiscono ed agognano a mete alte e ardue.
Ma l'uomo deve tener conto anche del resto del proprio essere, considerato che ogni mutamento non è parziale se non nella misura per la quale implica una partecipazione globale delle proprie facoltà, ma anche di tutto se stesso.
Evitare dunque l'impazienza; non stabilire traguardi impossibili; concedere del tempo al proprio essere per prendere coscienza del divenire; scoprire una metodologia applicabile al proprio ritmo: sono suggerimenti immediati e preziosi, vantaggiosi per ognuno.
Anzi, la pedagogia di "piccoli passi" va applicata anche alla nostra vita spirituale, campo nel quale l'impazienza frusta le speranze e l'insuccesso parziale, devia dal successo finale.
Proprio nel campo dello spirito, l'impazienza è l'abitudine più frequente che si possa incontrare e perciò vieta una perfezione possibile.
Non avere fretta, dunque, neppure nel cammino della santità, o della perfezione, o del mutamento. Ogni conversione, salvo casi eccezionali e precisi, è un lento camminare dall'imperfezione alla perfezione. La conversione non è mai opera di un solo istante o impresa di una giornata... La conversione è avventura di tutta una vita. Chi più è convertito, tanto più sa di essere o doverlo essere tutti i giorni. Ma non mira all'esistenza, ma al momento attuale, all'istante che passa. Ad ogni giorno, infatti, basta il suo peso; anche il peso del mutamento, la fatica del divenire, lo sforzo del mutarsi e del migliorarsi.
Non essere tanto preoccupati di essere fedeli per tutta l'esistenza; quanto piuttosto, essere fedele nel poco, nell'immediato.
Il cambiamento perciò consiste nell'impegno delle cose immediate, nell'accoglienza di un progetto semplice, nella coscienza di fare tutto, ora come se da questo "tutto" dipendesse il mio futuro, "ora" come se fosse tutto il mio tempo a disposizione.
I propositi dunque vanno misurati non sui grandi ideali o sui progetti difficili ad avverarsi e realizzarsi, quanto nella quotidianità, l'unica misura atta a valutare il vero mutamento, in ogni direzione.
L'essere umano accoglie il suo divenire come povertà esistenziale affinché possa vivere serenamente ogni mutamento.
P. Luigi Monaco

Il Male Infinito

Il dolore ha un elemento del vuoto non si può ricordare quando ebbe inizio, o se ci fu un giorno che ne fu privo. Non ha futuro, è lui stesso il futuro e i suoi regni infiniti hanno in sé il passato illuminati per scoprire nuovi anni di dolore.
(Emily Dickinson)

Qualche giorno fa, fasciata in un abito troppo stretto e sgualcito, con il suo passo barcollante ho visto T. venirmi incontro. Lo sguardo perso nel vuoto di sé, parlava da sola farfugliando frasi sconnesse e, quando mi è passata accanto ho capito che non poteva vedermi, era altrove dove, come canta De Andrè nel Cantico dei drogati , “ non vedo più che folletti di vetro che mi spiano davanti che mi ridono dietro”.
Ho pensato che sarebbe stato inutile provare a fermarla anche solo per un saluto o, forse, ho semplicemente provato disagio per quel male che sembra possedere T. e che si traduce come un desiderio di annientamento tremendamente irreversibile.
T. oggi ha trent’anni, è cresciuta in Sicilia dove dell’infanzia non ha ricordi sereni per i litigi che quotidianamente portavano sofferenza ed insicurezza per lei e suo fratello minore S.
Le scenate erano a volte violente perché sua madre era troppo bella e poi lavorava come commessa, preferiva non dipendere . Questo faceva infuriare il padre e per un po’ la separazione sembrò il male minore ma anche questo durò poco. T. fu affidata alla madre ma spesso restava da sola e le amicizie sostituirono quel bisogno di appartenenza a cui riferirsi per crescere. Aveva appena tredici anni quando si innamorò teneramente come accade a quell’età ma il suo primo ragazzo, diciottenne, un giorno la portò in aperta campagna e la obbligò ad un rapporto orale. Rimase sconvolta non capì cosa le fosse veramente accaduto ma le botte che seguirono erano il chiaro segnale che non doveva parlarne a nessuno e che soprattutto “l’amore sognato” ti sporca, ti infrange e ti precipita nel vuoto.
Sua madre era sempre più bella, troppo occupata a difendere i propri spazi per avere tempo di ascoltare i suoi silenzi ed accorgersi delle sue assenze. T. frequentava la scuola sempre più saltuariamente, iniziava a fumare spinelli e poi scoprì che quando beveva le pesava meno fare ciò che i ragazzi le chiedevano senza farsi scrupolo come fosse un gioco a cui, devi starci, per non restarne esclusi e accorgerti, così, di esistere.
Sua madre era sempre più triste, iniziava a cambiare, troppo spesso appariva impaurita e T. la trovava in lacrime. Probabilmente c’era qualcuno che non accettava la fine di un amore ed il clima vissuto era di minacciosa inquietudine. La madre le chiedeva con insistenza di non fare tardi , era angosciata ed anche quella sera le sembrò quasi che volesse implorarla di non uscire.
Quando si è ragazzi troppe volte non si ha la misura del tempo ed anche una semplice chiacchierata con le amiche sembra un evento irrinunciabile e difficilmente rinviabile. E quella sera T. fece ancora più tardi e mentre si avvicinava verso casa quell’assembramento di macchine e di persone, la luce intermittente delle sirene improvvisamente le diede la dimensione che il tempo intorno a lei si fosse, invece, definitivamente fermato.
Si fece spazio tra i curiosi e i poliziotti, salì le scale velocemente ed il cuore le si fermò alla gola, quel lenzuolo impregnato di sangue lasciava scoperta soltanto una mano che T. avrebbe per un’ ultima volta voluto stringere e, magari con un forte strappo tirare fuori di lì la sua dolcissima e bellissima mamma.
Non riuscirono mai a provare chi fosse l’assassino ma, spesso, T. ne subiva impotente la sua presenza.
Questo sconvolgente evento la trascinò sempre più in una deriva che non trovava ostacoli anche i Servizi Sociali erano sempre un passo dietro di lei. Tante furono le comunità terapeutiche, tante le fughe, tanti i furti per procurarsi la droga ed il carcere e poi ancora la comunità.
Conosce un uomo più grande di lei e per un po’ sente di potersi affidare, una storia intensa, rassicurante quanto breve, V. muore in pochi mesi e la disperazione la porta sulla strada.
Qualche anno fa sembrava esserci stata finalmente una svolta, l’incontro con P. anche lui ospite di una comunità, aveva acceso una piccola speranza, aveva aperto un inaspettato spazio alle emozioni e di colpo T. si era sentita meno sola. Il percorso fatto insieme si apre ad un progetto di vita e decidono, troppo presto di uscire dalla comunità per andare a vivere insieme. Questo incontro rivelò tutta la sua forza nelle rispettive fragilità e dopo poco produsse un’alleanza perversa che non si modificherà neanche dopo la nascita della bambina.
I S.S. debbono subito occuparsi della piccola poiché alla luce conosce il disagio di una crisi di astinenza.
Con l’aiuto dei familiari di P. provano ad allevare la piccola in un altalenante cammino di cadute e tentativi di ripresa ma, il male che si allea diventa una catena che li immobilizza spingendoli solo verso il fondo. Persino l’anziano suocero trova nella dipendenza di T. il suo sporco vantaggio ed il bisogno di soldi ha un ulteriore prezzo per il suo corpo oltremodo abusato.
La piccola M. è una luce che non trova spazio nella vita di T. e neanche dopo l’arresto del compagno, che poteva rappresentare un elemento di distanza utile a ritrovare un cammino personale di uscita, T. riesce ad alzare lo sguardo verso il cielo. La detenzione di P. rappresenta per lei un altro abbandono l’ultimo per il quale scegliere di varcare definitivamente quella porta oltre la quale affogare nel buio del suo male.
Un buio fatto di vuoto senza fine dove il dolore non ha suono.
Mi volto a guardarla ondeggiare con il suo passo barcollante naufragare nel suo male infinito.
Ida Floridia

Arienzo Ritiro spirituale 19/09/2010


Domenica 19 settembre la nostra fraternità si è ritrovata ad Arienzo per dare il via al nuovo anno sociale. In un clima di serenità e disponibilità all’ascolto e all’azione abbiamo meditato sul Vangelo del giorno. P. Giacinto De Luca ci ha invitato a vivere intensamente la preghiera e la fraternità aprendoci agli altri. La festa di S. Francesco del 4 ottobre segnerà definitivamente l’inizio del nuovo anno sociale.