Benvenuto

In questo spazio di libera discussione ogni opinione viene accolta se espressa senza offese e volgarità

mercoledì 25 dicembre 2013

E il Verbo si fece carne

IL VANGELO DI OGGI
Gv 1,1-18
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Dopo il racconto della nascita di Gesù da parte di Luca (Lc 2,15-20), ecco oggi - giorno di Natale - la riflessione teologica di Giovanni: «E il Verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Cosa è avvenuto? Dio si è fatto uomo perché l’uomo arrivasse a Dio. Mirabile scambio, degno di stupore e gratitudine!
Il Signore, Santo e Onnipotente, non ebbe riguardi per se stesso e discese dall’altezza del suo cielo. Senza avanzare diritti e pretendere oneri per il suo onor ferito, volle spingersi oltre ogni limite: «si fece carne…» (Gv 1,14), divenne uomo.
Così procurò di trovar fuori di sé Qualcuno al pari di sé, che però ci rassomigliasse. Amò in Lui ciò che avrebbe comunque amato in noi, nonostante irriguardosi tradimenti. E non gli dispiacque di donare Lui pur di riavere in cambio noi: e a quale grande prezzo! Cos’altro ancora l’Amor poteva fare se non darsi fino alla follia dissolvendosi nell’amato? L’Amore vero non ha riguardi per se stesso: può perdere il rispetto, ma mai la dignità. Questa è la legge che Dio ci impone, in Gesù nostra salvezza!
Buon Natale

P. Luigi

martedì 24 dicembre 2013

Oggi è nato per voi un Salvatore

IL VANGELO DELLA NOTTE DI NATALE
Lc 2,1-14
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
I segni, i sogni, i simboli, tutto parla della venuta del Salvatore del mondo, eppure le domande che affollano la mente restano le stesse: chi è questo Gesù che viene al mondo? Quale opera deve portare a compimento? Quali saranno le modalità, la pedagogia, il percorso che seguirà?
La prima cosa che mi ha colpito è stato l’approccio di Dio verso l’uomo.
All’atto della creazione l’uomo e la donna risiedono nel giardino dell’Eden, elevati quasi a condividere la “divinità” del Creatore,
Il peccato, ossia la scelta di non attenersi alla volontà d’amore del Padre, interrompe questa tipologia di rapporto, che si svilupperà nel tempo in modo verticale; l’uomo guarda il suo Dio dal basso verso l’alto, senza la vicinanza iniziale.
Per far tornare l’uomo protagonista della storia della salvezza e ricucire lo strappo causato dal peccato, Dio sceglie di farsi uomo mandando suo figlio sulla terra, in una dimensione di rapporto orizzontale: il Creatore che utilizza il linguaggio della creatura.
La seconda riflessione riguarda il fatto che Gesù irrompe nel corso della vita di Giuseppe e di Maria durante il censimento, con una causalità che sembra volerci dire che Egli viene sempre nel quotidiano, quasi mai con effetti speciali, in punta di piedi…
Il terzo pensiero riguarda Luca che racconta gli avvenimenti mettendo in risalto due aspetti: Gesù luce del mondo (“Diede alla luce il suo figlio primogenito”, “la gloria del Signore li avvolse di luce”) e Gesù Povero tra i poveri, simile tra i simili, in una prospettiva orizzontale e non più verticale.
Concludo con i versi finali del prologo del vangelo di Giovanni, che davvero ci illuminano su chi è Gesù e su quale sia l’opera a cui è destinato:
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perchè la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Roberto

Ci visiterà un Sole

IL VANGELO DI OGGI
Lc 1,67-79
In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:
«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati.
Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace».
Sta per sorgere il Sole sulle mie tenebre, sulle mie indifferenze, sulle mie paure. Sono pronto a camminare "sulle vie della pace"? Sono pronto a preparare le strade della salvezza per chi mi è accanto?
O Signore ti ricordi di me, mi liberi dai "nemici", invii segni di speranza, di conversione, di vita nuova, per indicarmi la via della salvezza.
Tu sei fedele per sempre, tu ricopri con il tuo manto d'amore le mie debolezze e visiti il mio cuore per aprirlo al servizio, all'annuncio, alla testimonianza.
In attesa della Luce vera, voglio essere anche io una fiammella di speranza.

Antonio

lunedì 23 dicembre 2013

Giovanni è il suo nome

IL VANGELO DI OGGI
Lc 1,57-66
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
"Giovanni è il suo nome" con queste parole Elisabetta e Zaccaria comunicano ai loro parenti la volontà di chiamare così il proprio figlio.
Loro accettano la volontà di Dio, che vedeva in  quel bambino colui che avrebbe preparato la via a Gesù attraverso la predicazione e la testimonianza.
Anche noi , in questo tempo d'avvento, prepariamoci ad accogliere Gesù, così come predicò Giovanni  richiamando tutti alla conversione, divenendo  autentici testimoni della volontà di Dio.

Lelia

domenica 22 dicembre 2013

Giuseppe non temere

IL VANGELO DI OGGI
Mt 1,18-24
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Significativa e profonda  è questa  parola rivolta all'udito interiore di Giuseppe e di converso a tutti noi, che nel silenzio della notte, risveglia a un fare, segretamente desiderato per Giuseppe assumere Maria come sua donna e il concepito da lei come suo figlio dandogli il nome (Mt 1,24): DIO E’ CON NOI!.
Ed ecco   il tempo dell'attesa che  si converte in tempo di nascita dell'atteso generato dallo sposalizio di molti sì, divini e umani, compresi i nostri.
La Luce vera di ogni giorno nasce come ieri, oggi e domani attraversando il buio dei conflitti interiori, delle paure, scelte e rinunce. Ma ecco una Luce che dona tanta forza …. nella consapevolezza che non siamo soli con le nostre povertà interiori …. perché il Signore è con Noi, venuto a salvare il Suo popolo dai suoi peccati.
Mi domando uscendo con la mente dal contesto biblico ma chi sono per davvero  Maria e Giuseppe oggi nel nostro tempo per tutti noi?
La risposta che consegue è quella di due veri testimoni  come sposi normali che vengono travolti  da un evento  del tutto STRAORDINARIO  al quale si rimettono con  fiducia e fede  insegnandoci  la forza del coraggio nel dire  SI  all’angelo, La saggezza di capire i segni ed oltre di essi con profondo abbandono,  come Giuseppe ha fatto nel credere  all'angelo quando gli  disse: «Non temere», con profondo senso di affidamento e fede verso il Signore.
Con lo stesso coraggio, con l’esempio di Giuseppe  vero Testimone di fede e senza timori viviamo con spirito nuovo questo Santo Natale fiduciosi che solo  l’AMORE renderà eterne tutte le opere offerte a nostro Signore.

Manlio

sabato 21 dicembre 2013

Beata colei che ha creduto

IL VANGELO DI OGGI
Lc 1,39-45
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
In questo brano del Vangelo, Maria passa dall’affidamento dell’”Eccomi”, alla collaborazione attiva con il suo Gesù.
Diventa la donna del servizio e corre verso chi ha bisogno di Lei.
Si mette in viaggio sfidando convenienze, pericoli, paure, riponendo ogni fiducia in Dio.
Noi ci chiediamo: quale insegnamento possiamo trarre dalla sollecitudine di Maria?
E’ da questa domanda che scaturisce la riflessione: siamo pronti come Maria ad accettare Dio nella nostra vita in modo così radicale?
Sapremmo sfidare tutto  ed affidarci a Lui come fece sua Madre?
E’ questa la sfida che io leggo in questo passo di Luca.
Non vi sono risposte certe a tale interrogativo, possiamo solo impegnarci e seguire Maria come esempio e guida.
Lei è la donna che ha sempre creduto nella fedeltà del Signore, di Colui che non abbandona il suo popolo.
Una ragazza semplice, perché tale era Maria, con un sorriso che io immagino disarmante e l’anima ricolma dei doni dello Spirito, ha detto il suo “SI” e lo ha seguito senza mai dubitare.
Solo con Maria possiamo vivere questo periodo d’avvento ed attendere l’ospite che visita la nostra vita più di quanto noi stessi possiamo immaginare e che non arriva mai a mani vuote.

Annamaria

venerdì 20 dicembre 2013

Non temere Maria

IL VANGELO DI OGGI
Lc 1,26-38
Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Rileggere il brano dell’annunciazione è sempre occasione per riflettere sulla grazia della chiamata del Signore.
Particolare interesse suscitano sia le parole dell’Angelo rivolte a Maria: “piena di grazia”, “non temere”, “lo Spirito Santo scenderà di te”, “nulla è impossibile a Dio”, sia la risposta di Maria: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.
Espressioni che portano a riflettere su noi stessi, sulla scelta di vivere la nostra fede, sul nostro rapporto con gli altri e che nel nostro intimo spesso fanno sorgere domande che scuotono la coscienza: Come possiamo aprirci a Dio e comprendere la sua chiamata? Conosciamo la nostra vocazione? Siamo capaci di realizzarla e viverla giorno dopo giorno?
Nel percorso della vita non sempre facilmente comprendiamo di essere amati pienamente da Dio, da un amore unico e spesso non siamo capaci di accoglierlo. Eppure la “grazia” di Dio consiste proprio nel voler entrare in ciascuno di noi, in chi lo annuncia e lo testimonia.
Ciò che conta, dunque, è lasciare entrare Dio nella nostra vita, aprirgli i nostri cuori senza alcun timore. Dobbiamo essere in grado di lasciarlo entrare dove realmente ci si trova, dove si vive, nella famiglia, nella società, nel nostro essere, nella quotidianità.
Si tratta di percorrere la via della fede, avere la certezza che Colui che ti chiama e ti invia a testimoniarlo ti è accanto, cammina con te ed è capace di aprirti strade che si ritenevano non percorribili.

Stefano

giovedì 19 dicembre 2013

Ecco che cosa ha fatto per me il Signore

IL VANGELO DI OGGI
Lc 1,5-25
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso.
Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccarìa disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».
Intanto il popolo stava in attesa di Zaccarìa, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».
Già un angelo aveva annunciato a Maria, che era vergine, la nascita di Gesù; un’altra nascita prodigiosa viene annunciata da un angelo: Elisabetta, che era sterile, concepirà un figlio……..tutto ciò richiede fede.
La fecondità prodigiosa si contrappone all'aridità, al deserto dove nulla più fiorisce, al vuoto di tante vite. La fecondità della grazia ci fa pensare ai doni di Dio e all'impegno che ne deriva. 
Zaccaria esita ad avere fede….ecco che viene punito….resterà muto fino al compimento della profezia.
Ogni giorno ci viene annunciata la nascita prodigiosa di Gesù nei nostri cuori…ogni giorno dobbiamo mantenere un impegno…..non esitiamo a credere in questo prodigio per non restare muti di fronte al mondo che attende risposte e certezze.
Dio non abbandona coloro che hanno fede, dà sempre segni prodigiosi.

Paola C.

mercoledì 18 dicembre 2013

Lo chiamerai Gesù

IL VANGELO DI OGGI
Mt 1,18-24
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 
«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele»,
che significa «Dio con noi».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Meditare su questo passo del vangelo e sulla figura di San Giuseppe, uomo giusto e timorato di Dio, mi ha non poco sconcertata.
Giuseppe ASCOLTO’ le parole dell’Angelo, si FIDO’ del Signore e FECE quello che gli aveva ordinato.
Ho molto riflettuto su cosa il Signore volesse dirmi attraverso l’esempio di Giuseppe.
Mi sono interrogata: sono in grado di ascoltare la parola del Signore? come faccio a capire quello che il Signore mi chiede? Ed ancora: come faccio a metterlo in pratica? Ma soprattutto ho fiducia nel Signore?
Credo che nella nostra vita, in ogni sua circostanza, in ogni sua situazione sia essa di gioia, di difficoltà, di sofferenza, dobbiamo saper porci, nel nostro intimo, all’ascolto della voce dell’Angelo che ci comunica la volontà del Signore e solo se abbiamo il cuore aperto all’Amore di Dio possiamo accogliere tutto quello che la vita terrena ci propone per prepararci a vedere la vera luce: “Gesù”.
Ciò può realizzarsi attraverso l’ascolto della parola, la preghiera, il timor di Dio, l’accoglienza, la propria vocazione cristiana, la fraternità e se ci affidiamo pienamente al Signore e crediamo che ciò che facciamo è quello che Dio desidera per noi, allora saremo veramente felici.

Rosa

martedì 17 dicembre 2013

Genealogia di Gesù

IL VANGELO DI OGGI
Mt 1,1-17
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Ogni volta che sentivo proclamare questo brano del Vangelo, la notte di Natale,  mi chiedevo che senso avesse mai questo elenco arido e noioso di nomi ma sinceramente non mi ero mai soffermata a rifletterci. Ora che questa incombenza mi è stata affidata è venuto il momento si pensarci. 
Le origini... Le radici.... La genealogia simmetrica composta di 3 periodi di 14 anni. Il nostro primo fratello il nostro primo padre Abramo .... Ecco che mi sovviene facile la risposta. La nostra fede  e' saldamente fondata sulla roccia,  essa ha un trascorso di migliaia di anni  e noi dobbiamo imparare da chi ci ha preceduto a rispondere alla chiamata che il Signore fa personalmente ad ognuno di noi mettendo in gioco la nostra vita quotidiana attraverso la testimonianza viva di fede come hanno fatto i nostri predecessori. Signore Ti ringrazio per avermi annoverato in questo messaggio di pace e Ti prego affinché anche io come Abramo possa sempre rispondere "ECCOMI".

Clelia

lunedì 16 dicembre 2013

L'autorità di Gesù

IL VANGELO DI OGGI
Mt 21,23-27
In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
Signore Gesù, quando vieni ad insegnare nel tempio della mia anima, ecco che insorgono i sommi sacerdoti: i pregiudizi di una ragione non illuminata dalla fede.
E poi gli anziani: memorie di un vissuto non ancora totalmente risanato dalla tua grazia e continuano a porti la domanda: “con quale autorità fai questa cose?”
Ecco, mi sostiene l’autorità di “chi vede la visione dell’Onnipotente, cade e gli è tolto il velo dagli occhi. Io lo vedo… io lo contemplo”.
E nelle tue mani piccole di bambino metto le mie ansie, le mie speranze, le mie gioie, i miei dolori e consegno tutta la mia vita.

Rosaria

domenica 15 dicembre 2013

Sei tu colui che deve venire?

IL VANGELO DI OGGI
Mt 11,2-11
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 
Mentre quelli se ne andavano, 
Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Più punti su cui riflettere vengono dal brano del Vangelo di oggi attraverso la figura del Battista:
I) Potenza, coraggio, forza di Giovanni Battista, precursore del Messia, «profeta dell’Altissimo», «mandato da Dio» con la missione di andare «innanzi al Signore per preparargli le strade» (Lc 1,76) predicando un battesimo di penitenza per la conversione dei peccatori.                                                                  
II) Coerenza e fedeltà che il Battista mantiene con lucidità quando viene perseguitato e incarcerato per ciò in cui crede  e anche  quando lo assale il dubbio e manda a dire a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
III) Logica del regno di  Dio che stravolge i criteri del piccolo e del grande, del primo e del l’ ultimo, pertanto Gesù elogia il Battista  ma dirà  anche «… il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Noi, uomini e donne di oggi che riceviamo da Dio la forza stessa del suo Spirito, attraverso la liturgia e i sacramenti, siamo chiamati  a impegnarci a vari livelli per l’ evangelizzazione e la crescita della Chiesa, provando a seguire l’esempio del Battista, con potenza,coraggio, forza,coerenza, fedeltà  perché siamo di quelli che non trovano in Gesù e nella logica del Regno di Dio  “… motivo di scandalo!”.

Giovanna

sabato 14 dicembre 2013

Il Figlio dell'uomo dovrà soffrire

IL VANGELO DI OGGI
Mt 17,10-13
Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 
Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. 
Ma io vi dico: Elia è gia venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro». 
Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.
Nella nostra vita ci sono momenti di euforia, di splendore, riflesso della Grazia che proviene dall'Alto, di trasfigurazione, ma poi dal monte bisogna scendere a terra dove inevitabilmente si sperimenta la ordinarietà, la croce e talvolta la sofferenza fisica e spirituale. E' qui che il cuore comincia a vacillare e la mente comincia a porsi le solite domande : " Ma perchè gli scribi dicono .... ? " e poi " Ma sei davvero tu il Signore della mia vita, sei tu il Messia ? ".
Gesù, oggi come allora, ci dice attenti ai falsi profeti che come obiettivo hanno solo i loro interessi e come tali diventano incapaci di riconoscere il Signore che passa e che continuamente bussa alle porte del cuore; piuttosto dobbiamo essere pronti a riconoscere la presenza del Signore che si manifesta attraverso i suoi profeti che come Lui offrono la vita per il bene dei fratelli e che anche oggi, nonostante millenni di storia, come allora, non vengono riconosciuti, non vengono ascoltati, non vengono seguiti e spesso vengono perseguitati.
Allora guardiamo ai profeti che sono passati nella nostra vita, Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II e non ultimo il nostro Papa Francesco, che recano con la loro vita la Buona Notizia dell'amore incondizionato di un Dio che ogni giorno sugli altari del mondo e nel cuore dei fratelli si rende davvero presente. Sarà quello il momento in cui dal nostro cuore si potranno levare le famose parole dell'apostolo Tommaso : " Mio Signore e mio Dio ...ora sì che ti riconosco". Amen!

Gianni

venerdì 13 dicembre 2013

La Sapienza di Dio

IL VANGELO DI OGGI
Mt 11,16-19
In quel tempo, Gesù disse alle folle: “A chi posso paragonare questa generazione? E' simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”. E' venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “E' indemoniato”. E' venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie.
Stamattina nel leggere la parola, la mia mente era affollata di pensieri, proiettata verso le cose da fare.......  Subito dopo la lettura,  ho esclamato ''non ho capito nulla.'' E come sempre 'Lui ' interviene, servendosi delle situazioni, delle persone che ti pone accanto. Ti prende per mano  e ti accompagna verso la sorgente di ogni trasformazione: il CUORE.
Marianna, la mia collega, mi ha detto, sai penso che la natura umana sia insoddisfatta e triste perché  ha lo sguardo sempre proiettato verso l'esterno e non gli sta bene mai nulla.
Un po’ come succede  a ''quei  bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano''..........(MT 11,18-19)
Quando  le paure prendono  il sopravvento ci arrochiamo dietro le nostre posizioni rigide  e giudichiamo gli altri.
Il Signore, invece, ci chiama ad essere sapienti. ''la Sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie''.
La Sapienza, infatti, è il riflesso della luce di Dio nella nostra vita ed è un dono che Lui  fa alle persone che lo cercano con cuore. Soltanto con la Sapienza di Dio possiamo imparare a  non giudicare  e ad  amare concretamente i fratelli.
In questo tempo di Avvento, chiediamo al Signore di donarci la  la sapienza.

Maria 

giovedì 12 dicembre 2013

Chi ha orecchi, ascolti!

IL VANGELO DI OGGI
Mt 11,11-15
In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.
Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elìa che deve venire.
Chi ha orecchi, ascolti!»
Gesù, rivolgendosi alle folle, disse che mai nessun uomo, nato da donna, fosse più grande di Giovanni Battista, il precursore e annunziatore della venuta di Cristo, che avrebbe  attuato il regno di Dio sulla terra, un regno di amore e di fraternità universale, ma  fortemente ostacolato dai violenti, i quali se ne volevano impadronire già  d’allora e, purtroppo, ciò continua ad  accadere anche ai giorni nostri, dove impera  l’indifferenza, la mancanza d’amore e  l’assenza di disponibilità verso i fratelli bisognosi.
  Gesù così conclude :”Chi ha orecchi intenda” un’espressione spesso usata dal Signore per attrarre l’attenzione  sui suoi insegnamenti e sulla sua parola, perché non tutti vogliono ascoltarlo né condividere i suoi comandamenti difficili da attuare senza la grazia di Dio e la disponibilità fraterna. Nelle sue parole c’è la speranza della vita eterna e il sostegno per affrontare il duro cammino della vita.

Renato

mercoledì 11 dicembre 2013

Il ristoro della vita

IL VANGELO DI OGGI
Mt, 11,28-30
In quel tempo, Gesù disse: "venite a Me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e Io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero."
Questo passo del Vangelo, mi ha sempre colpito e non vi nego che è stato anche motivo di conversione per la mia vita perché, spesso, avevo camminato su sentieri mal tracciati. Ed ecco la potenza di questo messaggio evangelico che mi ha folgorato dalla potenza delle parole di Dio: luce che guida i passi della mia esistenza, mi ha artigliato l'anima e ha vinto l'inerzia del mio disinteresse, infrangendo il silenzio del nulla con tenerezza e vincoli di amore. Gesù offre se stesso, ci cammina sempre al nostro fianco e quando le nostre forze vengono meno ECCOLO Lui ci sostiene su un palmo di mano. Questa esperienza mi ha condotto in un lembo di paradiso assaporando la condizione primordiale dell'Eden. Gesù ha un sogno per ognuno di noi, vederci felice e tutto ciò può avvenire solo se riusciamo ogni giorno a incarnare il suo amore e la sua grazia, perché Lui è VIA, VERITA' E VITA.
Grazie Gesù.
Basilio

martedì 10 dicembre 2013

La pecorella smarrita

IL VANGELO DI OGGI
Mt 18,12-14
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
"Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore ed una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per la novantanove che non si erano smarrite.
Così è volontà del Padre vostro che è nei ciel
i, che neanche uno di questi piccoli si perda."
Madre Teresa di Calcutta diceva: “Non permettere che qualcuno venga da te e che poi vada via senza essere migliore e più contento”. Le sue parole, da un lato, invitano a essere testimoni d’amore e di bontà; dall’altro, rappresentano una esortazione a prenderci cura dell’ “altro” che Dio pone sul nostro cammino. Ogni incontro non è mai casuale: ma gli uni per gli altri siamo strumenti di Dio; nel bene e nel male delle relazioni che intessiamo. Dio, però, non è solo il buon pastore che va a recuperare la pecora smarrita, ma è la madre che si prende cura dei suoi figli: li genera, li abbraccia, li nutre, li ascolta, li rimprovera anche; li perdona e li ama. E, difatti, credo che sia proprio una questione di amore, disinteressato e fecondo, capace di andare al di là del proprio ego e guardare “alto” per concretizzare l’amore anche con chi non mostra compassione. Siamo chiamati dall’Amore a essere un buon pastore e, ancor di più, una madre, per realizzare l’amore con chi il Signore ci ha messo vicino nel lavoro, nello studio, in casa, in fraternità; con chi ci piace e con chi non ci è simpatico. Per non perdere alcuno e imparare che “anche il peggiore degli uomini ha le ali nascoste da qualche parte e bisogna aiutarlo ad aprirle invece di condannarlo” (M. Levy). Però, quest’amore, anche sacrificato e sofferto, se non è predisposizione dell’animo, richiede un atto di volontà che trova ragione nella fede, che ci permette di superare noi stessi per andare incontro all’altro e insieme fare festa.
Paola di G.

venerdì 15 novembre 2013

LA SAPIENZA DELLA POVERTA'. S. ELISABETTA MADRE DI TUTTI

Omelia della nostra sorella Paola durante il triduo di S. Elisabetta

Ieri abbiamo ascoltato dalla sorella Giovanna l’aspetto storico della vita di sant’Elisabetta, ma anche della sua profonda ricchezza interiore da divenire un faro per l’umanità.
E’ stata la prima santa francescana canonizzata, forgiata nella fucina evangelica di Francesco, ma di questo sentiremo parlare domani.

Nell’enciclica Deus caritas est,  di Benedetto XVI si legge: Abbiamo creduto all’amore di Dio, così Santa Elisabetta credette profondamente in questo amore.
Nella vita di santa Elisabetta si manifestano atteggiamenti che rispecchiano letteralmente il Vangelo di Gesù Cristo.
Ella cercò la sequela radicale di Cristo, secondo l’autentico stile di vita di Francesco. Il suo fu un impegnativo cammino di conversione, tutto orientato dall’amore di Cristo.  In questo cammino Elisabetta sentì come via privilegiata la povertà.
Rifiutò le apparenze e le ambizioni del mondo, il fasto della corte, le comodità, le ricchezze e gli abiti di lusso. Scese dal suo castello e mise la sua tenda tra gli emarginati, i feriti della vita, per servirli. Ella fu dimentica di se stessa fino a rendersi prossima a tutti i bisognosi, scoprì la presenza di Gesù nei poveri, negli emarginati della società, negli affamati e nei malati (Mt 25). Profuse tutta l’energia della sua vita per vivere la misericordia di Dio Amore e nel farla presente in mezzo ai poveri.

Elisabetta visse in pienezza il Vangelo della carità, della misericordia, dell’amore, nel secolo, nel mondo.
Per lei vivere il Vangelo fu imitare gioiosamente Cristo povero e crocifisso, imitare in quel “farsi poveri” per farsi prossimo, per farsi fratello.
Si sentì come Francesco chiamata alla povertà dalla povertà di Cristo che “da ricco che era si è fatto povero per noi”.  Come Francesco assunse la povertà, perché in Cristo la povertà è rivelata a noi come via di salvezza per tutta l’umanità.
Ella, che già era ben predisposta spiritualmente,  crebbe ancora di più secondo l’esempio di Francesco che chiama a vivere “senza nulla di proprio”, riconoscendo che ogni bene è proprietà di Dio e noi stessi siamo di Dio. Vivere “senza nulla di proprio” significa vivere non ponendo se stessi al centro della propria vita, ma ponendo Dio al centro e il suo mistero di amore, che ci rende figli e ci rende fratelli.
E lo sforzo costante di Francesco è quello di restituire tutto a Dio, di non trattenere per sé, condividendo con i fratelli, per riconoscere così in tutti la regalità di Dio e la paternità di Dio.
Elisabetta visse e concretizzò il Vangelo nella sua condizione di donna, di laica, di regina, di sposa, di madre, unendo insieme contemplazione e azione; nella fedeltà più piena alla propria posizione, alla propria condizione nel mondo, perché questa condizione faceva parte del dono di Dio, era grazia di Dio,  possibilità di rimando a Lui, condizione per amministrare e far fruttificare il talento dell’amore di Dio nel mondo, era terreno in cui seminare il bene e volgere il cuore dell’uomo alla misericordia di Dio.

Elisabetta si fece povera nella vita matrimoniale, ricercando sempre insieme al suo sposo, Ludovico di Turingia, la volontà di Dio.
Elisabetta si fece povera assumendo un movimento continuo di attenzione e di cura, di vigilanza evangelica, verso il proprio ambiente, la propria realtà. Animata dall’amore di Cristo, non esitò ad andare tra i poveri, a vedere con i propri occhi la loro condizione per comprenderla e farsene carico. Non esitò a compromettersi, a mettersi in campo per potersi prendere cura dei più deboli, di quelli che nessuno cura. Non esitò a cercare di farsi voce; non esitò a lenire in ogni modo possibile quella miseria, se non altro con la sua presenza, con la sua vicinanza. Non esitò a sentirsi familiare ai poveri, allargando i confini della propria famiglia, si fece tutto a tutti, madre di tutti.
Si è dunque ben lontani da qualche elargizione di denaro (anche se su questo piano Elisabetta arrivò a donare tutto quello che aveva e alla fine della sua vita disse: “Tutto ciò che c’è, appartiene ai poveri”). Siamo in presenza di un “farsi poveri” che diventa autentica prossimità, custodia della dignità dell’uomo, nell’esercizio di una misericordia che riesce a “restituire” al povero, con i beni materiali, anche l’amore divino.

Elisabetta si fece madre di tutti per condividere con tutti la buona notizia di un Padre che ci ama e che ci vuole tutti suoi figli. E quando ormai non più regina, cacciata dal castello, poté disporre pienamente di se stessa, arrivò ad accogliere come figli i malati, sentendoli come il dono più prezioso del Signore, sentendo tutta la gioia di potere in loro “lavare il Signore”, accudire le membra del Signore. Elisabetta si fece povera, anche nel tempo della corte, attraverso il lavoro, lavorando con le proprie mani: filava, tesseva per i poveri, per i frati, e così fino agli ultimi tempi della sua vita; costruì il primo ospedale come laica per soccorrere i malati, i pellegrini, i diseredati.
La sua carità non si limitò all’azione immediata, ma si fece provvidente, dando a ciascuno non solo il necessario per sopravvivere, ma anche gli strumenti per poter lavorare. Restituì così dignità al povero, al più debole, additando a tutti la necessità di partire dai più deboli, di tenere conto dei più deboli come fatto di civiltà.
La sua fraternità, il suo continuo prodigarsi, è proprio per dilatare la misericordia di Dio nel mondo, è proprio per assicurare una possibilità di accoglienza e di dignità a tutti, è per essere tenda del Signore in mezzo ai poveri. Ci invita a non arroccarci nelle sicurezze materiali o in una religiosità disincarnate, ma sta nello spendersi fino all’ultimo momento della propria vita.
Elisabetta, nel suo cammino perseverante di povertà per farsi tutto a tutti, ha rafforzato l’azione missionaria di tutta la Chiesa, incarnando e diffondendo la spiritualità francescana come fermento di vita evangelica nelle comuni occupazioni del mondo, ponendo il principio della fraternità a fondamento del rapporto tra gli uomini
Elisabetta ci rimanda all’ordine dell’amore di Cristo da seguire nella nostra vita. E quindi anche noi possiamo dire e concretizzare le parole Abbiamo creduto all’amore di Dio: un amore donatoci e offertoci con la vita e che possiamo restituire e rimandare a Dio attraverso i fratelli, non solo con le opere materiali ma anche con la nostra presenza e vicinanza.
Elisabetta ci richiama al senso vero della giustizia che è un rendere onore al piano di amore di Dio per l’umanità: un rendere onore che passa dalla nostra quotidianità, dal nostro stile di vita, che deve essere attraversato anche oggi dalla sapienza della povertà, ossia vivere senza nulla di proprio, se vogliamo che tutta la nostra vita possa davvero farsi carità.
Elisabetta ci ridice che la perfezione della carità è condivisione;  questo è il senso della fraternità.
Portare la sapienza della povertà nel nostro stato secolare diventa compito, missione, diventa la carità più grande per l’umanità del nostro tempo: il non trattenere per noi la buona notizia di un Dio che ci salva, che ci ha pensato e voluto come famiglia, di un Dio che si fa nostra compagnia perché la nostra vita possa essere piena e godere della sua beatitudine.
Nel fare memoria di S. Elisabetta, imploriamo dal Signore per sua intercessione di renderci capaci di restituire la grazia ricevuta. Spetta ora a noi, come ha fatto Elisabetta, di “portare Cristo nel nostro cuore e nel nostro corpo … per partorirlo” oggi, restituendolo con le opere sante che devono risplendere agli altri in esempio, fino all’ultimo momento della nostra vita.

Pace e bene
Paola Di Girolamo, Ofs,
15 novembre 2013, in occasione del Triduo per S. Elisabetta

giovedì 14 novembre 2013

NASCE ELISABETTA RICCHEZZA DI DIO E FARO PER L'UMANITA'

Omelia della nostra sorella Giovanna durante il triduo di S. Elisabetta

Innanzi tutto ringrazio la comunità dei padri cappuccini che anche quest’ anno in occasione del triduo di S. Elisabetta danno a noi dell’ ordine francescano secolare la possibilità di una riflessione  sulla Santa patrona dell’ ordine, da condividere con voi dell’ assemblea.
Elisabetta nasce in Ungheria nel 1207 da re Andrea II e la regina Gertrude.
A quattro anni è già fidanzata, i suoi genitori l’hanno promessa in sposa a Ludovico, figlio ed erede di Ermanno I sovrano di Turingia (all’epoca, questa regione tedesca era una signoria indipendente). Subito viene condotta nel regno del futuro marito, per vivere, crescere ed essere educata nella famiglia del fidanzato secondo un’ usanza abbastanza frequente in un epoca di matrimoni combinati dai parenti degli sposi fin dalla più tenera età.
Nel 1217 Ermanno I muore e gli succede il figlio Ludovico, che nel 1221 sposa solennemente la quattordicenne Elisabetta. Ora i sovrani sono loro due. Lei viene chiamata “Elisabetta di Turingia”.  Secondo tutte le fonti, si trattò di un'unione felice da cui nacquero tre figli, un maschio e due femmine.  Nel 1222 nasce il loro primo figlio, Ermanno. Seguono due bambine: nel 1224 Sofia e nel 1227 Gertrude. Ma quest’ultima viene al mondo già orfana di padre. Il quale partito per la sesta crociata in Terrasanta, non vedrà nemmeno la Palestina: lo uccide un male contagioso a Otranto. Elisabetta a soli vent’anni con tre figli, è già vedova. Da qui a poco Elisabetta, che sempre era stata ostacolata  dai  parenti del marito, viene cacciata, dalla corte insieme ai figli che in seguito le verranno tolti.
Fino ad ora abbiamo visto una panoramica storica di Elisabetta adesso entriamo nella caratteristica della sua vita: Elisabetta incominciò da subito a distinguersi in virtù e santità di vita. Con mitezza e dolcezza accettò e affronto la vita senza mai ribellarsi anzi trasformò ciò che erano organizzazioni, imposizioni degli altri e avversità della vita in modo semplice e sereno accettando tutto .  La sua testimonianza, tutta avvolta nella carità che è Dio, ci propone la vita cristiana come grazia, dono di Dio,con tutto quello che può contenere bello e brutto, facile e difficile. Crede fermamente in ciò che in quel periodo Francesco andava predicando : da Dio che è il bene, tutto il bene il sommo bene non può che venire bene.
Con questa ricchezza interiore con serenità amerà l’uomo che gli è stato scelto vivendo con lui pienamente, anche se per poco, la vocazione matrimoniale; diverrà regina ma sarà  una regina che serve e non che si fa servire,e quando, proprio per questo, sarà cacciata dai familiari del marito, dal suo castello insieme con i suoi figli va presso un convento e prima ancora di chiedere ospitalità chiede di recitare il Te Deum, la preghiera di ringraziamento. Come non leggere in questo suo affrontare le vicissitudini  della vita l’ attuazione della perfetta letizia. Anche questo è una testimonianza di come Elisabetta fosse attratta a vivere la fede secondo quella spiritualità che si andava diffondendo, la spiritualità francescana. Le sarà arrivata dritto al cuore la lettera a tutti i fedeli che Francesco  scrive :“Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, con tutte le loro forze e amano il prossimo come se stessi …..e fanno degni frutti di penitenza: quanto mai sono felici questi e queste facendo tali cose e preservando in esse …” (cfr FF 178). Queste sono le parole che Elisabetta ha certamente sentito nella sua vita dai primi Frati giunti in Germania. Queste le parole che Lei incarna in maniera eccelsa, rendendo evidente nei fatti come la via della penitenza, della conversione, non sia qualcosa di lugubre, fatta di digiuni, e di mortificazioni, ma sia soprattutto e innanzitutto un programma di amore, di crescita nell’amore, in quell’amore che ci ha creati e redenti. Questo amore è il Cristo ed ella conobbe ed amò Cristo nei poveri. E’ fedele a Gesù e al suo Vangelo, attua pienamente le beatitudine evangeliche: beati i puri di cuore, ed ella e pura e umile, beati i poveri , ed ella diventa povera, beati i perseguitati, ed ella è perseguitata  e in tutto questo non smette mai di essere grata a Dio. Che bella testimonianza da hai suoi figli quando non avendo più una dimora comunque ringrazia Dio incoraggiandoli alla vita e alla speranza come fa con i poveri e gli ammalati che assisterà. 
Elisabetta per tutto questo verrà definita, dal suo padre spirituale ricchezza di Dio e aggiungiamo faro dell’ umanità.

Elisabetta è un vero gigante della fede, della speranza, della carità, che nella sua intensa se pur breve vita  - morirà infatti a 24 anni - , ci manifesta tutta la potenza dell’amore del Signore che ha reso fecondo ogni attimo della sua esistenza, e non solo per il suo tempo, ma per ogni tempo. Anche per noi oggi è un esempio che incoraggia, penso alle tante famiglie dove, viene colpita la dignità perché non c’è più fonte di guadagno perché si è perso il lavoro,  dove c’ è incertezza di mantenere una casa  e crescere i figli, dove i giovani appaiono smarriti e senza futuro.  Allora coraggio Dio è con noi questo ci dice appunto con la sua vita Elisabetta ricchezza di Dio e faro dell’ umanità.

Pace e bene
Giovanna Sindaco, Ofs,
14 novembre 2013, in occasione del Triduo per S. Elisabetta