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lunedì 27 dicembre 2010

E' Nato Gesù?

Cosa resta di questo Natale?
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Vivere Il Natale Con S. Francesco

Dio viene senza armi, senza la forza,  perché vuole essere accolto dall’uomo in piena libertà. Dio, diceva  l’attuale Papa Benedetto XVI, si fa bambino inerme per vincere la superbia, la violenza, la brama di possesso nell’uomo. Il desiderio che tutti portiamo nel cuore, è che la prossima festa del Natale ci doni, in mezzo all’attività frenetica dei nostri giorni, serena gioia per farci toccare con mano la bontà del nostro Dio ed infonderci nuovo coraggio.
Per comprendere meglio il significato del Natale del Signore, dovremmo fare un breve cenno storico di questa solennità. L’anno Liturgico della Chiesa non si è sviluppato inizialmente partendo dalla nascita di Cristo, ma dalla fede della sua Resurrezione. Perciò la festa più antica della Chiesa non è il Natale, ma la Santa Pasqua. Difatti la Resurrezione di Cristo fonda la fede Cristiana, è alla base dell’annuncio del Vangelo e fa nascere la Chiesa. Quindi essere cristiani  significa vivere in maniera pasquale, facendoci coinvolgere dal dinamismo che è originato dal Battesimo e che porta a morire il peccato per vivere con Dio. Il primo ad affermare con chiarezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma nel 204 commentando il libro di Daniele. Nel IV secolo la festa del Natale ha assunto una forma definitiva prendendo il posto della festa romana “ Solis Invicti”  “Il Sole Invincibile”, che è Cristo con la vittoria della vera Luce sulle Tenebre del Male ed il Peccato.
Tuttavia, la particolare ed intensa atmosfera del Natale sorge e si sviluppa nel medioevo grazie a San Francesco di Assisi, che era profondamente innamorato dell’uomo Gesù, del Dio con noi. Tommaso da Celano disse di S. Francesco, “al di sopra di tutte le altre solennità, celebrava con ineffabile premura il Natale del bambino Gesù, chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato a un seno umano. Da questa particolare devozione al mistero dell’incarnazione ebbe origine la storica celebrazione del Natale a Greccio. La notte di Greccio infatti, ha ridonato alla cristianità l’intensità e la bellezza della festa del Natale, e ha educato il popolo di Dio a coglierne il messaggio, il particolare calore , ed ad amare ed adorare l’umanità di Cristo sotto le sembianze di un bambino. E San Francesco nel guardare, adorando, il grande mistero si commuoveva e piangeva pensando alla sublime umiltà, all’amore inerme di Dio, alla sua benignità, all’estrema povertà accettata dal Padre per cambiare a pieno la sua volontà a favore di tutti noi.
Grazie a San Francesco, il popolo cristiano ha potuto percepire che a Natale, Dio è davvero diventato L’Emmanuele, il Dio con noi, dal quale non ci separa alcuna barriera, alcuna lontananza. In questo bambino, infatti, si manifesta Dio – Amore perché senza armi, senza la forza, senza violenza, ma solo per Amore viene a portare a tutti  gli uomini di buona volontà la PACE VERA!
Preghiamo il Padre Celeste perché conceda al nostro cuore quella semplicità che rinasce nel bambino, proprio come fece S. Francesco a Greccio.
Con l’augurio che possa succedere anche a noi quanto accadde a Greccio:
Ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile Gioia!
Auguri di Buon Natale a tutti.
P. Arsenio Di Pietro

Amici Di Strada

Gli “amici di strada”sono quei “ piccoli ” fratelli  che incontriamo sul cammino tracciato dal Signore, coloro che hanno perso tutto, talvolta persino la propria dignità di persona, che vivono per strada, che poggiano il capo sul caldo asfalto o su terra arida d’estate e su un marmo freddo o nel fango d’inverno

Il gruppo “ amici di strada “ nasce in maniera del tutto spontanea a seguito di un amichevole e fraterno incontro tra due persone di parrocchie diverse, una di S.Antonio a Posillipo e l’altra, di vocazione francescana, diacono presso la parrocchia S. Maria di Piedigrotta, entrambe in Napoli.
Non ricordo in quale precisa circostanza ci conoscemmo  ma forse fu ad uno degli incontri decanali dei responsabili Caritas parrocchiali. Ma ciò che conta è che entrammo subito in armonia e spinti dal desiderio di mettere in atto il Vangelo, dal desiderio di creare fraternità e comunione tra realtà parrocchiali diverse, andando a considerare la forte crescita di povertà nella nostra città, decidemmo di dedicare un po’ del nostro tempo alla CARITA’ attuata in maniera concreta, secondo le parole di Gesù, attraverso quelle opere di misericordia che oggi andrebbero riscoperte e rivalutate : DAR DA MANGIARE, DA BERE, VESTIRE, PARLARE, INCORAGGIARE, FARE AMICIZIA, PREGARE nel nome di GESU’ (Mt. 25, 35-36).
I destinatari sono quei “ piccoli  ” fratelli  che incontriamo sul cammino tracciato dal Signore, coloro che hanno perso tutto, talvolta persino la propria dignità di persona, che vivono per strada, che poggiano il capo sul caldo asfalto o su terra arida d’estate e su un marmo freddo o nel fango d’inverno. Questo è lo scenario che ci si presenta davanti quando andiamo verso di loro, AMICI DI STRADA, che ci attendono per ricevere una bibita calda o fredda che sia, una vaschetta di pasta preparata con la mano del cuore, un libro, una parola, una stretta di mano. Talvolta incontriamo persone, ferite dalla vita, lontane migliaia di chilometri dai loro Paesi, che si lasciano vincere dalla disperazione e si abbandonano all’alcole o alla droga, distese in terra prive di coscienza, di quella forza vitale che consente di proseguire il proprio cammino benché impervio e privo di ogni visuale.
Nel guardare questo scenario è nata la missione AMICI DI STRADA nel settembre del 2009.
Entusiasti di poter fare una piccola cosa ma comunque di portare un po’ di sollievo a questi nostri fratelli, abbiamo iniziato in due, poi in tre ed ogni quindici giorni ci accorgevamo che il numero delle persone che si affiancavano a noi cresceva. Facemmo un momento di riflessione per capire quando e come era il caso di intervenire e dopo un attento esame del territorio e della presenza di altre realtà di volontariato decidemmo di dedicare ogni lunedì sera (incontro con gli amici di Posillipo e partenza da Chiesa di Piedigrotta alle ore 21,30)  a queste persone che proprio in quel giorno sono visitate solo da un altro piccolo gruppo proveniente da Marano, accompagnato dal proprio sacerdote.
I Vangeli, che costituiscono un dono del Signore, ci sono stati donati perché noi diventassimo quei protagonisti narrati nelle sue parabole, nei suoi racconti di fatti reali da Lui vissuti nel corso dei trenta-trentaquattro anni che hanno preceduto la Sua morte e risurrezione. Credo che i Vangeli siano giunti sino a noi perché noi arrivassimo a riconoscerci in quei personaggi per poi prenderci cura di Colui che troviamo sulla strada, tramortito dall’alcol o dalla  droga, tramortito dalla sua stessa vita e dal vuoto incolmabile che qualcun altro nel corso della sua esistenza gli ha procurato. Che bello quando riusciamo a vederci, a specchiarci in coloro che nel Vangelo appaiono ciechi di fronte alla miseria umana. Un grido sembra sprigionarsi dalla nostra anima perché Dio ci guarisca e ci dia la forza di tendere una mano a chi è lasciato sulle strade dell’indifferenza totale di un mondo che sembra aver abbassato il volume della radio di Dio, e nonostante questo mondo sia pieno di antenne paraboliche non riesce più a percepire o a volersi sintonizzare sulla frequenza  “ Gesù Cristo ”.
All’inizio partecipavano con tanto entusiasmo anche un medico ed un avvocato che si prestavano ogni qualvolta si presentava una particolare necessità o stato di salute precario; preziosa quindi è risultata la loro opera dal momento che quando ci è capitato di chiedere soccorso al 118 per persone in grave stato di salute ci veniva risposto che la legge non prevede interventi di questo tipo e che gli addetti possono intervenire solo in casi  “estremi ”. Forse questi casi sono quelli che precedono la morte ?
Invece avendo al nostro fianco queste persone competenti tutto ci appariva più semplice e di facile risoluzione, potendo usufruire dei loro consigli ed agire di conseguenza. 
In ogni caso il gruppo va avanti e oggi è composto da tantissime persone giovani, anziani, donne e uomini, persone consacrate e laici che credono nell’amore; non ci sono limiti di provenienza, di zona, di alcun genere e ciò che si guarda è l’umanità sofferente a cui noi cristiani siamo chiamati a dare un motivo di speranza.  Così la voce che esce dalla nostra “ RADIO-COSCIENZA ” ci dice di resistere, di essere tenaci e perseveranti in questa missione, di renderci protagonisti contro la presenza del male, senza attendere la legge con le sue iniquità, ci dice di farci BUONI SAMARITANI lungo il cammino preparatoci dal Signore.
I risultati appaiono evidenti e commoventi soprattutto quando mi soffermo a guardare persone che dicono “ fermiamoci un attimo in farmacia perché vorrei comprare delle medicine per quel fratello in difficoltà ”. Questo è il momento più bello della nostra missione perché ci permette di contemplare l’amore che Gesù pone nel nostro cuore, cambiando il nostro cuore e rendendoci parte della Sua esistenza.  Questa è già CARITA’, tutto il resto viene da sé dove e quando lo Spirito vorrà; Non spetta a noi costruire cattedrali nel deserto, ma continuare con semplicità questo piccolo progetto di vita cristiana. 
E il vento soffia perché oggi questa missione “ AMICI DI STRADA ” non appartiene più a poche persone ma a tutta una COMUNITA’; infatti oggi cinque famiglie a settimana preparano, con la mano del cuore, il cibo per i nostri fratelli bisognosi che andiamo ad incontrare il lunedì, portano indumenti e quanto altro viene richiesto. Soffia quando questi nostri fratelli ci riconoscono quando ci avviciniamo a loro e ci chiamano per nome mettendo nel nostro cuore e nelle nostre mani le loro esigenze anche quelle più immediate (vestiario, medicinali, consulenze legali, ma … mai, mai soldi).
Altre volte dobbiamo sperimentare anche la sconfitta, la nostra impotenza di fronte alle miserie umane che si manifestano quando un nostro fratello diviene incapace di reagire, di aprirsi alla misericordia di Dio, di dare una svolta definitiva alla propria vita e quindi ricade nuovamente nell’alcol, nella droga.
Ma ciò non ci scoraggerà più di tanto perché continueremo a servire il Signore, nei limiti delle nostre possibilità, nel ricordo e nell’attuazione delle sue dolcissime parole “ ogni volta che avete fatto queste cose ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me ” (Mt. 25, 35-46).
Grazie Signore !
Gianni Improta

La Cantata Di Natale

Ancora una volta sotto lo sguardo dolce di Maria tutti noi abbiamo dato il massimo, consapevoli che lenostre voci oltre che alla platea sono arrivate in cielo sotto forma di  melodiosa preghiera: la più bella forma di preghiera, il canto, aspettando speranzosi la nascita del Bambino Gesù.

E’ fatta. Incredibile!
Pensavo che il secondo impatto con la cantata di Natale sarebbe stato più semplice, invece stante il successo tributatoci lo scorso anno,è stato più impegnativo. Ma a detta di tutti è andata bene.
E così rivivo  piacevolmente il mio percorso: un paio di anni fa, attirata dal coro che animava le liturgie domenicali, lentamente ho sentito montare in me una voglia matta di far parte di quel gruppo. Ed ecco che arriva Rosa alla cui forza prorompente e coinvolgente non si può resistere! Mi da la possibilità di far parte di quel coro… e poi gli eventi sono andati avanti con naturalezza.
La proposta, l’anno scorso, di partecipare alla cantata di Natale e di mettersi in gioco a 50 anni suonati, mi fa tuffare a capofitto e con l’entusiasmo di un’adolescente in questa avventura estremamente divertente ma anche tanto impegnativa.
All’inizio non è stato facile; ma confidando più nella mia buona volontà che nelle mie capacità canore e tenendo ben presente che “ non è mai troppo tardi “( come diceva il buon maestro Alberto Manzi in televisione durante gli anni 60) sono riuscita pian piano ad inserirmi, a saper ascoltare ed imparare. Ma anche a vivere un po’ più da vicino lo spirito di fraternità, educandomi all’esercizio dell’obbedienza e della pazienza nell’accettare i nostri fratelli con i loro limiti umani, ma soprattutto spronandomi  alla ricerca dell’umiltà.
La maggior parte del merito va al maestro del nostro coro, Ninni, alla sua bravura, alla sua infinita pazienza e al suo vivere profondamente lo spirito francescano; è stato per me di grande aiuto ed esempio non solo da un punto di vista didattico ma, soprattutto, per l’inizio del mio cammino nell’ambito della fraternità.
Le prove di quest’anno sono state per me ancora più piacevoli,  per il maggiore affiatamento raggiunto con il gruppo, così che anche dopo una lunga e pesante giornata di lavoro ci siamo ritrovati la sera  a mettere spesso da parte la stanchezza ed a lavorare gioiosamente insieme per preparare questo spettacolo. Non è mancata qualche scaramuccia verbale, ma la sapiente gestione della nostra guida è sempre riuscita a risolverla con un sorriso finale, cosicché anche quest’anno possiamo essere soddisfatti della nostra esibizione.
Ancora una volta sotto lo sguardo dolce di Maria tutti noi abbiamo dato il massimo, consapevoli che le nostre voci oltre che alla platea sono arrivate in cielo  sotto forma di  melodiosa preghiera: la più bella forma di preghiera, il canto, aspettando speranzosi la nascita del Bambino Gesù.
Maria Rosaria Colantuoni

Il Francescano Oggi - seconda parte

Se oggi San Francesco tornasse, che tipo di persona sarebbe, come si comporterebbe? Che cosa direbbe? Come potremmo riconoscerlo? Questi sono solo alcuni interrogativi che ogni giorno in molti ci poniamo unitamente ad altre domande che seguiranno nel presente articolo. Attraverso il sentiero riflessivo che percorreremo insieme nel corso della lettura di questo affascinante contributo ritroveremo il senso di appartenenza alla nostra scelta di vita e recupereremo quel comune senso di smarrimento trovando il piacere e la gioia della nostra chiamata missionaria nel nostro tempo  

LA NOSTRA MISSIONE: MISSIONARIETA’ DEL FRANCESCANO DEL NOSTRO TEMPO E MISSIONARIETÀ’ DELLA PAROLA
La Missione sociale e religiosa che ritroviamo anche nella Christifideles laici (1988) nell’esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II, impegna ogni laico fedele chiamato dal Signore a realizzare con dignità e responsabilità non solo con le parole, ma con fatti concreti, i messaggi programmatici di rinnovamento delle comunità francescane. La parola deve farsi programma di vita.
Occorre:
- Prestare più ascolto alla voce del Signore per poterlo seguire;
- La nostra vocazione si deve trasformare in missione;
- Vivere in pienezza “la beatitudine della Fraternità”;
- Essere presenti nella società in modo coerente e concreto per portare l’anima francescana nel mondo e per seminare la speranza (Regola Francescana)
In questo mondo ferito dal peccato, in cui il male sembra ovunque presente, prezioso si presenta l’insegnamento di Giovanni nella sua prima lettera: “figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”. Ed inoltre ci ricorda: “ Vi riconosceranno da come amerete”.
Da un esame delle FF.FF. può evincersi che la missione è una realtà dinamica non diversa dallo sforzo umano “del fare”, anzi spesso, richiede la coscienza di essere mandati, sia come singoli che come fraternità, ad operare nel mondo e per il mondo.
Gesù stesso chiama ciascuno di noi a diventare suo discepolo, spesso proprio attraverso il dialogo con l’altro.
Lo spazio del dialogo possiede i confini della parola trasmessa: chi la porta non la possiede, chi l’annuncia non la esaurisce.
Cfr Regola 19 II cpv: “ siano ….messaggeri di perfetta letizia, in ogni circostanza, si sforzino di portare agli altri la gioia e la speranza. ( cfr anche le Ammonizioni di S.Francesco, 21)
Perciò il dialogo diventa un dono del cammino missionario del nostro tempo. Il dialogo deve trasformarsi in accoglienza umile e cortese, specie in relazione con i più deboli.
Ma il dialogo necessita prima di tutto, della capacità di ascolto, ove in essa regnano due strumenti universali: L’ Amore e L’Accoglienza.
Per realizzare questa missione non solo occorre un quotidiano rinnovamento, ma non è ipotizzabile rimandare sempre a domani per cominciare, perché “non è lecito a nessuno rimanere in ozio” (CFL,3). Ed ecco che entra in gioco un’importante componente. Seneca ricorda che: “la vita ci è data lunga a sufficienza, se fosse tutta investita bene”.
Ebbene, anche se il tempo non ci appartiene, anche se il tempo non ha padroni, tuttavia il tempo è nelle nostre mani. Ed infatti: Come ogni casa si edifica mattone su mattone, anche la nostra vita e di tutti coloro che ci vivono accanto, si matura minuto per minuto, giorno per giorno. Ciò stante, dovremmo fare della nostra vita una testimonianza anche nel piccolo o con il poco dei nostri valori, senza risparmio, perché nulla è poco se viene offerto con amore.
 Manlio Merolla

Perchè Bloccare La Gioia?

P. Luigi Monaco (1940-1993) ha speso tutta la sua vita  per la formazione dei giovani. 
Ancora ogg i suoi scritti risultano incredibilmente attuali

 Perché bloccare la GIOIA? Ne abbiamo tutti bisogno. Ha diritto,la gioia, ad esplodere, perché appartiene anche agli altri, nasce anche dagli altri, è destinata a coinvolgere, a contagiare. Eppure, stranamente, si ha pudicizia nel mostrarsi gioiosi, allegri, sereni, in pace con se stessi, con gli altri, con il mondo intero.
 Non sembra, ma è così. C’è una congiura contro la gioia, dono di Dio, frutto di un interiorità vissuta in profondità, di una responsabilità accettata fino in fondo, fino all’estrema conseguenza. La gioia nasce dalle radici del proprio essere ed ha bisogno di espandersi per accogliere e donarsi.
Ogni gioia vissuta a vantaggio personale, è una brutta gioia: è egoismo ed illusione, miraggio di gioia, ma non frutto maturo per un’universalità cui la gioia è desti­nata.
Si tratta allora di educarsi alla condivisione ed alla partecipazione. Ogni gioia condivisa si moltiplica e non si annulla, fruttifica e non si isterilisce, si espande e non si isola. E’ una realtà per le anime magnanimi e non per gli spiriti gretti.
Essendo frutto gratuito, comporta necessariamente una gratuità nel donarsi, senza niente aspettarsi, senza niente chiedere. Ti arriva la gioia, senza sapere da dove viene, e la doni senza chiederti dove va. Si avvale della libertà e della collaborazione di ogni spirito, ma fiorisce in terreni generosi ed umili, pronti alla morte immediata per un rigoglio futuro... Simile al seme che, solo morendo, produce frutti e semi per oggi e per il domani, senza fine, senza esaurimento.
La gratuità della gioia ti pone in una povertà sublime ed in una libertà austera. Pudicizia nel proporla e nel custodirla, responsabilità nell’ingrandirla e nel donarla. Non si può sciupare la gioia, anche perché alto è il suo prezzo e rara la sua esistenza. Eppure deve essere, come pane profumato e frutto sudato, donata agli altri, chiunque esso sia, purché disponibile ad accoglierla, ad offrire ospitalità.
Seme sparso al vento per la libertà del suo essere, si raccoglie da sé nella madia, simile ad acqua che alla sorgente torna dopo che ha irrorato i campi e dissetato gli uomini.
La gioia non aumenta e non diminuisce, non si moltiplica e non si divide: è dono totale, è vita destinata a produrre altra vita, senza impoverirsi, senza arricchirsi.
Sarà per questo che si tenta di bloccarla, per falso malinteso da parte di coloro che dando gioia, hanno timore di restarne senza, condividendola, hanno paura di averne meno. Non è così. La gioia è un bene di Dio che è Padre universale, che non si immiserisce nel dare, non si arricchisce nel seminare. Resta tale qual’è e aspira soltanto a fare degli altri ciò che lui è.
Il destino della gioia è fare l’uomo felice, ogni uomo gioioso, ogni essere umano figlio di Dio, fratello dell’uomo.
Non è giusto portare la gioia in una cassaforte, opaca e tetra; il suo habitat è una coscienza trasparente ed uno sguardo limpido oltre che un viso sereno.., rivelazione di una presenza che ti abita per darti vita e non già per schiavizzarti e possederti. La gioia è luce destinata ad illuminare e, pur volendo, non può nascondere la sua presenza tanta è la sua forza rivelatrice di una sorgente che è oltre, che supera ed incanta, addita e segnala.
Non può essere messa sotto il moggio, la gioia, quanto piuttosto sui tetti a proclamare la sua bellezza e la sua contagiosità. Non costa niente purché, accolta gratuitamente, gratuitamente è donata. Dopo tutto è in te che puoi trovare questo seme, capace di autogenerarsi nella misura in cui è donato.
Allora nessuno potrà mai nascondere la luce dei tuoi occhi e l’onestà della tua coscienza... Nessuno potrà sotterrare la tua gioia perché è divenuta anche gioia degli altri, di quanti hai incontrato sul sentiero della tua vita. Ed è il testamento più ricco che avrai lasciato agli uomini.
 P. Luigi Monaco

La Mensa Della Carità

Su iniziativa di P. Camillo Martone, opera ormai da molti anni la Mensa della Carità, alla quale anche noi francescani secolari collaboriamo in alcuni giorni della settimana con la preparazione e la distribuzione di pasti caldi

Queste parole pronunciate da Gesù, l'esempio e la vita del nostro serafico padre S.Francesco e l'incontro con Padre Camillo Martone nel lontano1982 mi hanno fatto capire il vero significato delle parole del Vangelo.
Affiancato da mia moglie Ave, la quale ha sempre condiviso le mie scelte, la prima di tutte è stata quella di aderire all'OFS (ordine francescano secolare) e divenuti terziari Francescani circa 18 anni fa, ci siamo resi subito disponibili all'aiuto dei fratelli bisognosi che bussavano alla porta della mensa di P. Camillo.
Impossibile è descrivere la gioia che si prova nel preparare un piatto caldo per un fratello bisognoso il quale spesso si presenta in condizioni precarie, da barbone, che aspetta non solo il piatto caldo per sfamarsi ma anche un sorriso, una parola buona, quel contatto umano fatto anche di parole che possono confortarlo; oppure vedi che è un extracomunitario che viene da lontano, da un altro paese, un altra cultura e spesso ti accorgi che accetta con diffidenza la tua disponibilità che con tanto amore gli dai, perché l'amore per il fratello nel quale cerchi e vedi il volto di Gesù Cristo sofferente, non ha confini, ne colore della pelle, ne distinzione di razze.
La carità come ci spiega bene San Paolo nella lettera a Corinzi è la più importante delle virtù teologali ed è questo amore verso i fratelli che continua a spingerci a servirli, finche il Signore ce ne darà la forza.
Renato Ievoli

Il Bene Va Fatto Bene

Missione: EDUCARE!!... partiamo dalle cose possibili per poi puntare a quelle impossibili”
 
Quest'anno l'assemblea regionale CE.MI.OFS-GI.FRA si è svolta il 13 e 14 Novembre a S. Giuseppe Vesuviano ed ha visto riuniti tutti i delegati delle varie fraternità della Campania per conoscersi, condividere e riflettere sul tema della educazione alla missionarietà.
Sabato 13 i lavori sono iniziati con una liturgia di accoglienza dedicata a S. Elisabetta, esempio mirabile a cui ispirarsi, che ha dedicato tutta la sua vita a servire con instancabile bontà coloro che si trovavano nella sofferenza e nel bisogno.
Subito dopo la liturgia e i saluti dei responsabili regionali, siamo entrati “nel vivo” dell'incontro con l'ascolto dell'intervento di Padre Pasquale Incoronato, parroco di Ercolano, dove da alcuni anni si occupa del recupero sociale, familiare e personale, di minori definiti “a rischio”.
Con il suo modo di esporre, semplice e diretto, ci ha fatto riflettere sul cambiamento antropologico delle identità e delle coscienze; della povertà culturale, morale e spirituale di questo momento storico che appartiene a tutte le classi sociali.
Alla difficoltà di vivere oggi l'umiltà e la fraternità perché riconosciuti concetti troppo distanti dalla nostra attuale società.
Ancora ha sottolineato l'importanza di coltivare i rapporti interpersonali e di continuare a seminare sempre e comunque, pur sapendo che il raccolto tarderà a venire. Infine ci ha detto che oggi è necessario offrire una chiesa della speranza, consapevolezza che Dio ci ama come noi amiamo i nostri figli e Lui, come dono supremo, ci garantisce la vita eterna.
Dopo questo momento così intenso di riflessioni siamo passati al momento della “concretezza” con il nostro fratello Enzo Siciliano che ci ha illustrato il CE.MI. , quale braccio operativo della fraternità OFS-GI.FRA, con tutte le attività di servizio ed i progetti da realizzare.
Il giorno seguente, domenica 14, dopo la celebrazione della S. Messa, ci siamo riuniti con la Prof. Melania Lupoli, responsabile della comunità educativa di tipo familiare “Casa Rossi”, ed insieme con lei abbiamo tracciato l'identikit del missionario, che deve avere grandi occhi per osservare, grandi orecchie per ascoltare, il sorriso per trasmettere gioia e positività; lunghe braccia per accogliere, mani per operare, piedi per accompagnare e camminare sempre senza mai fermarsi, ma soprattutto è necessario un grande cuore perché “IL BENE VA FATTO BENE”
 Lelia Basile

La Mia Gi.Fra.


La Gi. Fra. è subito diventata la mia casa. Vivere in fraternità, una fraternità viva nella quale lo Spirito Santo è sempre presente, ti fa letteralmente cambiare, senti una nuova forza dentro che ti fa venir voglia di cambiare il mondo.

Dio è entrato nella mia vita in tenera età, facendomi provare emozioni forti, anche se il mio cammino spirituale non è stato tutto rose e fiori.
Per comprendere al meglio cosa stessi cercando ho dovuto affrontare tantissimi cambiamenti, non certo facili, che però mi hanno fatto capire che non riuscivo a rispecchiarmi nella chiesa attuale. I vari gruppi di preghiera non mi facevano sentire a casa, c’era sempre qualcosa che mi mancava, ma un bel giorno arrivai nella Gi.Fra., la gioventù francescana, dove finalmente iniziai a respirare un’area diversa: mi sono sentito subito a casa, e quel senso di mancanza finalmente sparito.
La Gi. Fra. è subito diventata la mia casa. Vivere in fraternità, una fraternità viva nella quale lo Spirito Santo è sempre presente, ti fa letteralmente cambiare, senti una nuova forza dentro che ti fa venir voglia di cambiare il mondo.
Oramai sono quasi due anni che ho intrapreso il cammino Gi.Fra., e durante questo mio percorso ho avuto la fortuna di conoscere amici sinceri e veri, l’amore e soprattutto mi sono riavvicinato al Signore come mai non avevo fatto prima d’ora. Tante sono le esperienze stupende che ci metterei una vita per elencarle tutte,  ma ognuna di queste ha lasciato un ricordo indelebile nel mio cuore.
Ringrazio il Signore per avermi donato questa fraternità nella quale e grazie alla quale sto crescendo sia come persona che spiritualmente, un cammino che arriverà, spero presto, alla mia promessa, che non sarà per me un punto di arrivo, ma anzi un nuovo punto di partenza. Punto dal quale partirò per un nuovo viaggio sempre più vicino al Signore!! Pace e Bene a tutti!!
Giuseppe Pandolfi

giovedì 30 settembre 2010

Liberi di Scegliere?

Nelle varie situazioni della nostra esistenza, siamo liberi di scegliere?
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La Scelta

Non c'è nulla che spaventi di più l'uomo che prendere coscienza dell'immensità di cosa è capace di fare e diventare. »
(Søren Kierkegaard)

Ciò che contraddistingue l’esistenza dell’uomo singolo rispetto agli altri esseri viventi è la possibilità di scegliere e la libertà di decidere.
Il comportamento dei singoli animali è condizionato necessariamente dall’istinto. Invece i singoli uomini, nel corso della loro vita, si trovano sempre di fronte a più possibilità di fronte alle quali sono totalmente liberi di decidere.
La libertà di scelta però è anche responsabilità individuale di fronte al bene e al male. E da questo punto di vista la possibilità genera nell’uomo il caratteristico sentimento dell’angoscia..
Le diverse determinazioni che può prendere la vita umana non sono altro che possibilità che l'uomo si trova di fronte e tra le quali deve scegliere. Questa totale apertura verso il possibile, la condizione di incertezza e travaglio di fronte alla scelta tra le possibilità dà vita all'angoscia. Essa è quella "vertigine" connaturata all'uomo che deriva dalla libertà, dalla possibilità assoluta. Subentra l'angoscia quando si scopre che tutto è possibile.
Ma quando tutto è possibile è come se nulla fosse possibile. C'è sempre la possibilità dell'errore, del nulla, la possibilità di agire in un modo che nessuno sa che cosa accadrà.
L'angoscia, a differenza della paura, che si riferisce sempre a qualcosa di determinato e cessa quando cessa il pericolo, non si riferisce a nulla di preciso e accompagna costantemente l’esistenza dell’uomo. Kierkegaard vive e scrive sotto il segno di questa incertezza: di fronte ad ogni alternativa, l’angoscia non è un sentimento che possa essere o non essere presente nell’uomo: l’angoscia è essenzialmente connessa all’esistenza umana, in quanto quest’ultima è divenire verso l’ignoto. L'angoscia è dunque letta come fondamento stesso della condizione umana,.
La scoperta della possibilità, e quindi dell'angoscia, è stata risvegliata per la prima volta in Adamo dal divieto di Dio. Prima di ricevere da Dio il divieto di mangiare dell'albero del bene e del male, Adamo era innocente: non aveva, cioè, la coscienza delle possibilità che gli si aprivano davanti. Quando riceve da Dio il divieto, acquista la coscienza di "poter" sapere la differenza fra il bene e il male. Diventa consapevole della possibilità della libertà. E l'esperienza di questa possibilità è l'angoscia. L'angoscia è a fondamento del peccato originale: l'angoscia, il sentimento delle possibilità che gli si aprono davanti, mettono Adamo nella possibilità di peccare, di infrangere il decreto divino.
La libertà sociale non coincide con la libertà di scelta (o d’azione), dal momento che “la libertà sociale indica una relazione tra due agenti, laddove la libertà di scelta designa una relazione tra un agente e un’azione o specie d’azione, effettiva o potenziale.
Tra gli esseri viventi l'uomo è l'unica specie che ha diverse facoltà che lo distinguono dall'animale, tra cui quella di poter scegliere coscientemente. Ciò premesso, quale significato comunemente si attribuisce al termine "persona umana"?
Comunemente la "libertà" dell'uomo è ritenuta un valore: motivo per cui le varie ideologie intendono questa "libertà" sotto angolature diverse.
L’esistenza dell’individuo si svolge in un campo di scelte, di decisioni fra diverse alternative possibili. Proprio la possibilità, non la necessità, caratterizza il modo d’essere umano. La possibilità è temporalità, una perenne instabilità del vivere. Pone l’individuo dinanzi ad alternative drastiche [...]
Annamaria Belaeff

Perchè Sono Francescano

Siamo come fogli bianchi, puliti sui quali mano a mano che si va avanti viene scritto qualcosa

E’ una domanda alla quale non è facile rispondere dal momento che la vocazione, qualunque essa sia, non è mai qualcosa di ben definito, di aritmetico, di geometrico, incanalabile in precisi schemi , né scende e si sviluppa come un fiume nel suo letto.
La vocazione, a mio avviso, si compone di tanti tasselli che maturano nel tempo della nostra esistenza: dai segni più o meno sensibili di cui il Signore ci fa dono sino al cammino umano che percorriamo e che per sempre traccerà la nostra vita.
Siamo come fogli bianchi, puliti sui quali mano a mano che si va avanti viene scritto qualcosa; tutti questi fogli andranno a comporre il libro della nostra vita ma l’ultimo foglio sarà il più bello perché sarà quello dell’incontro con il Signore dei tempi.
Dunque la vocazione ha un suo inizio in qualcosa che ci colpisce profondamente e che lascia il segno indelebile, per sempre. E’ da qui che parte la mia esperienza francescana : avevo circa cinque - sei anni, quando capitai, accompagnato dai miei genitori, davanti al bel presepe nel Convento dei PP. Cappuccini. Mi fermai incantato dinanzi alla grotta … mi divideva una rete metallica alla quale restai aggrappato a lungo soffermando il mio sguardo sul Bambinello. C’era silenzio tutto intorno perché era sera e ci accompagnava un fraticello di nome Frà Egidio, tutt’ora vivente; quel momento, quel luogo erano un incanto. 1° segno.
Passano alcuni anni e il mio amico Benedetto mi porta con sé in GIFRA; ogni sera ci si incontrava con gli amici, si condivideva il gioco, il pane, i pensieri, le risate, i dolori; in quel momento imparai a vivere da francescano: non ero più solo e la mia vita era da condividere con altre persone. 2° segno.
Passano alcuni anni, anni difficili, anni di contestazione, incontrai in GIFRA una ragazza della mia stessa età. Imparammo a conoscerci, ad entrare in piena sintonia e ad amarci; dopo un po’ divenne mia moglie. 3° segno.
Le difficoltà della vita ed i problemi più grandi di noi ci portarono ad allontanarci per un lungo periodo da quell’ambiente nel quale eravamo cresciuti; tutto sembrava finito… ma era solo un deserto che dovevamo percorrere per ritrovarci ancora nella nostra vocazione francescana. Infatti celebrammo il 25° anno di matrimonio nella Chiesa dei PP. Cappuccini al C.so Vitt. Emanuele, riprendendo i contatti con i componenti del nuovo Ordine Francescano Secolare del quale mia moglie ed io a tutt’oggi facciamo felicemente parte. 4° segno.
Questi sono i segni umani che hanno accompagnato questo percorso e che mi hanno consentito di rafforzare la mia fede, di impegnarmi come francescano nel servizio alla Chiesa come diacono, di sentirmi parte di essa, di far parte di una fraternità che ci ama e che noi amiamo come riflesso dell’amore grande del Signore dei tempi.
Ma il percorso continua, ci sono universi la cui bellezza è ancora tutta da scoprire e che ci ricon-durranno dinanzi alla grotta a contemplare la bellezza di quel Bambinello benedicente nella Gerusalemme celeste accompagnati da Francesco d’Assisi.
Gianni Improta

Il Francescano Oggi - prima parte

Se oggi San Francesco tornasse, che tipo di persona sarebbe, come si comporterebbe? Che cosa direbbe? Come potremmo riconoscerlo? Questi sono solo alcuni interrogativi che ogni giorno in molti ci poniamo unitamente ad altre domande che seguiranno nel presente articolo. Attraverso il sentiero riflessivo che percorreremo insieme nel corso della lettura di questo affascinante contributo ritroveremo il senso di appartenenza alla nostra scelta di vita e recupereremo quel comune senso di smarrimento trovando il piacere e la gioia della nostra chiamata missionaria nel nostro tempo.

PUNTO DI PARTENZA: IL FRANCESCANO OGGI COME SI DISTINGUE E CON QUALE APOSTOLATO?
Tra molti elementi di distinzione quello più significativo è l’innocenza ed il senso di missionarietà nel nostro operato, che noi tutti abbiamo perduto.
Infatti l’innocenza ci consente di cogliere i segni di vita in tutte le creature e la missionarietà di vivere dando un senso profondo alla nostra scelta francescana e alla nostra vita.
Cristo prima e San Francesco poi, ci hanno insegnato che dobbiamo imparare a rinascere, a recuperare l’innocenza e vivere il Vangelo con un senso diverso, perché altrimenti non sapremo più riconoscere la verità che ogni giorno porta con sé.
Il contatto con la natura educa l’uomo a farsi sorprendere dal nuovo con innocenza, a sapere che arriverà il momento della difficoltà e del dolore, che verrà però superato e compensato.
L’invito esteso ai laici formulata dal Santo Padre nella novella “Novo Millennio ineunte” ricorda che il Signore ci ha chiamato alla vocazione francescana per “vivere il Vangelo in comunione fraterna” per realizzare la nostra vocazione francescana non solo nella fraternità, ma con la fraternità, lavorando “come operai mandati nella vigna” del Signore, cioè nel mondo.
COSA RICHIEDE IL LAVORO NELLA VIGNA DEL SIGNORE?
La risposta la troviamo proprio nella nostra Regola e nel Vangelo: “Gratuitamente ho ricevuto, gratuitamente offro” - “Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo”. - “ L’art. 4 II capv. – capitolo II – FORMA DI VITA della regola: “ I francescani secolari si impegnino, inoltre, ad una assidua lettura del Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo [ cfr Apostolicam Actuositatem 30,8]. -“ L’art 5 regola ofs: “ i francescani secolari….ricerchino la persona vivente e operante di Cristo nei fratelli, nella Sacra Scrittura, nella Chiesa e nelle azioni Liturgiche.” -“ L’art. 6 regola ofs: “ …si facciano testimoni e strumenti della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola…..ispirati a S.Francesco e con lui chiamati a ricostruire la Chiesa….” - “ L’art. 7 Regola:…. In virtù della loro vocazione, attraverso il Vangelo…conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore …che lo stesso Vangelo designa come “ CONVERSIONE”, la quale, per la umana fragilità deve essere attuata ogni giorno. ( per questo motivo che durante questo periodo di Quaresima – di rinnovamento siamo invitati tutti a dei momenti di preghiera frequenti ed intensi) – Ed infine dobbiamo sempre ricordare tra tutti l’art. 10 della regola che ci ricorda :….. ADEMPIANO FEDELMENTE AGLI IMPEGNI PROPRI DELLA CONDIZIONE DI CIASCUNO NELLE DIVERSE CIRCOSTANZE DELLA VITA, E SEGUANO Cristo, povero e crocifisso, testimoniando anche fra le difficoltà e le persecuzioni.
LA POVERTÀ “ FRANCESCANA” DEL NOSTRO TEMPO COME SI RAPPRESENTA?
Questo è un altro punto nodale ed oggetto di attente riflessioni, ma occorre doverosamente essere ben interpretata ed intesa partendo proprio dalla regola ( cfr cfr Regola 11), in sintesi ecco come:
1. come distacco e nell’uso dei beni terreni –
2. trovare una giusta relazione ai beni terreni -
3. semplificare le proprie materiali esigenze –
4. consapevolezza di essere amministratori dei beni ricevuti a favore dei figli di Dio (cfr. Vangelo)
5. mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo.( cfr.: Mt.25,40)
Oggi in particolare, dove emergono nuove e più pericolose povertà, più subdole e silenti, l’apostolato francescano può sortire effetti positivi. Abbandono, solitudine, ozio, insidie tecnologiche e sociali (droga, dissesti ecologici) sono le nuove ineludibili sfide del nostro tempo, che possiamo affrontare con un’opera impegnata e silente. Solo allora la carità diventerà giustizia ed il servizio offerto a DIO diventerà testimonianza. Se abbiamo lavorato bene nella vigna del Signore, potremo sperare che molti altri potranno dire: “Abbiamo visto il Signore”.
Manlio Merolla

Non è Facile Cambiare

P. Luigi Monaco (1940-1993) ha speso tutta la sua vita per la formazione dei giovani. Ancora oggi i suoi scritti risultano incredibilmente attuali.

 Non è facile cambiare.
Eppure, le nostre frustrazioni, non raramente, sono il frutto di questa impazienza, il risultato di una creduta incapacità al mutamento.
Vorremmo cambiare. Eppure, diciamo, che non ci riusciamo.
Invece a lungo andare, e sono soprattutto gli altri a dirlo, ci troviamo diversi, senza quasi accorgercene.
Il mutamento, avviene, al di là del nostro impegno. L'uomo, infatti, è nel divenire. Solo Dio è, l'uomo diviene. Lo stesso "mito dell' adulto", in verità, non esiste. Che significa, poi, essere maturi? Che, forse, la persona matura, non diviene, ancora, verso una maturazione più vera e più profonda? Divenire è proprio all'essere umano.
Si tratta di innescare meccanismi tali per prendere coscienza di questa evoluzione, o, addirittura, di sollecitarla, dirigendola verso traguardi prestabiliti, voluti, desiderati.
Ciò nei confronti di tutto il nostro essere, il quale diviene sia nell'evoluzione materiale che spirituale, diviene sia nel fisico che nell'intelligenza come anche nella volontà, nelle capacità di apprendimento come in quelle conoscitive.
L'evoluzione è di per sé la condizione di ogni realtà creata. Tutto ciò che nasce, muore.
Voler dunque cambiare per migliorarsi, comporta questa fondamentale convinzione: è propria all'uomo l'evoluzione.
Questo indica una disponibilità a non assolutizzare né se stesso, né le proprie cose, né le stesse credute conquiste. Ammettere un'evoluzione, comporta riconoscere la propria relatività e con essa la provvisorietà di ciò che si è e di ciò che si fa.
Voler mutare non è nella facoltà dell'uomo; l'uomo cambia comunque.
Quando invece il mutamento è cercato per un miglioramento, per un'evoluzione positiva del proprio essere, allora sono richieste condizioni tali che urge applicare una metodologia, per meglio raggiungere il traguardo desiderato, per arrivare alla meta agognata.
Non bisogna peccare di impazienza.
Il ritmo del nostro essere è più lento di quello della nostra volontà.
E' ottima cosa che la volontà e l'intelligenza definiscono ed agognano a mete alte e ardue.
Ma l'uomo deve tener conto anche del resto del proprio essere, considerato che ogni mutamento non è parziale se non nella misura per la quale implica una partecipazione globale delle proprie facoltà, ma anche di tutto se stesso.
Evitare dunque l'impazienza; non stabilire traguardi impossibili; concedere del tempo al proprio essere per prendere coscienza del divenire; scoprire una metodologia applicabile al proprio ritmo: sono suggerimenti immediati e preziosi, vantaggiosi per ognuno.
Anzi, la pedagogia di "piccoli passi" va applicata anche alla nostra vita spirituale, campo nel quale l'impazienza frusta le speranze e l'insuccesso parziale, devia dal successo finale.
Proprio nel campo dello spirito, l'impazienza è l'abitudine più frequente che si possa incontrare e perciò vieta una perfezione possibile.
Non avere fretta, dunque, neppure nel cammino della santità, o della perfezione, o del mutamento. Ogni conversione, salvo casi eccezionali e precisi, è un lento camminare dall'imperfezione alla perfezione. La conversione non è mai opera di un solo istante o impresa di una giornata... La conversione è avventura di tutta una vita. Chi più è convertito, tanto più sa di essere o doverlo essere tutti i giorni. Ma non mira all'esistenza, ma al momento attuale, all'istante che passa. Ad ogni giorno, infatti, basta il suo peso; anche il peso del mutamento, la fatica del divenire, lo sforzo del mutarsi e del migliorarsi.
Non essere tanto preoccupati di essere fedeli per tutta l'esistenza; quanto piuttosto, essere fedele nel poco, nell'immediato.
Il cambiamento perciò consiste nell'impegno delle cose immediate, nell'accoglienza di un progetto semplice, nella coscienza di fare tutto, ora come se da questo "tutto" dipendesse il mio futuro, "ora" come se fosse tutto il mio tempo a disposizione.
I propositi dunque vanno misurati non sui grandi ideali o sui progetti difficili ad avverarsi e realizzarsi, quanto nella quotidianità, l'unica misura atta a valutare il vero mutamento, in ogni direzione.
L'essere umano accoglie il suo divenire come povertà esistenziale affinché possa vivere serenamente ogni mutamento.
P. Luigi Monaco

Il Male Infinito

Il dolore ha un elemento del vuoto non si può ricordare quando ebbe inizio, o se ci fu un giorno che ne fu privo. Non ha futuro, è lui stesso il futuro e i suoi regni infiniti hanno in sé il passato illuminati per scoprire nuovi anni di dolore.
(Emily Dickinson)

Qualche giorno fa, fasciata in un abito troppo stretto e sgualcito, con il suo passo barcollante ho visto T. venirmi incontro. Lo sguardo perso nel vuoto di sé, parlava da sola farfugliando frasi sconnesse e, quando mi è passata accanto ho capito che non poteva vedermi, era altrove dove, come canta De Andrè nel Cantico dei drogati , “ non vedo più che folletti di vetro che mi spiano davanti che mi ridono dietro”.
Ho pensato che sarebbe stato inutile provare a fermarla anche solo per un saluto o, forse, ho semplicemente provato disagio per quel male che sembra possedere T. e che si traduce come un desiderio di annientamento tremendamente irreversibile.
T. oggi ha trent’anni, è cresciuta in Sicilia dove dell’infanzia non ha ricordi sereni per i litigi che quotidianamente portavano sofferenza ed insicurezza per lei e suo fratello minore S.
Le scenate erano a volte violente perché sua madre era troppo bella e poi lavorava come commessa, preferiva non dipendere . Questo faceva infuriare il padre e per un po’ la separazione sembrò il male minore ma anche questo durò poco. T. fu affidata alla madre ma spesso restava da sola e le amicizie sostituirono quel bisogno di appartenenza a cui riferirsi per crescere. Aveva appena tredici anni quando si innamorò teneramente come accade a quell’età ma il suo primo ragazzo, diciottenne, un giorno la portò in aperta campagna e la obbligò ad un rapporto orale. Rimase sconvolta non capì cosa le fosse veramente accaduto ma le botte che seguirono erano il chiaro segnale che non doveva parlarne a nessuno e che soprattutto “l’amore sognato” ti sporca, ti infrange e ti precipita nel vuoto.
Sua madre era sempre più bella, troppo occupata a difendere i propri spazi per avere tempo di ascoltare i suoi silenzi ed accorgersi delle sue assenze. T. frequentava la scuola sempre più saltuariamente, iniziava a fumare spinelli e poi scoprì che quando beveva le pesava meno fare ciò che i ragazzi le chiedevano senza farsi scrupolo come fosse un gioco a cui, devi starci, per non restarne esclusi e accorgerti, così, di esistere.
Sua madre era sempre più triste, iniziava a cambiare, troppo spesso appariva impaurita e T. la trovava in lacrime. Probabilmente c’era qualcuno che non accettava la fine di un amore ed il clima vissuto era di minacciosa inquietudine. La madre le chiedeva con insistenza di non fare tardi , era angosciata ed anche quella sera le sembrò quasi che volesse implorarla di non uscire.
Quando si è ragazzi troppe volte non si ha la misura del tempo ed anche una semplice chiacchierata con le amiche sembra un evento irrinunciabile e difficilmente rinviabile. E quella sera T. fece ancora più tardi e mentre si avvicinava verso casa quell’assembramento di macchine e di persone, la luce intermittente delle sirene improvvisamente le diede la dimensione che il tempo intorno a lei si fosse, invece, definitivamente fermato.
Si fece spazio tra i curiosi e i poliziotti, salì le scale velocemente ed il cuore le si fermò alla gola, quel lenzuolo impregnato di sangue lasciava scoperta soltanto una mano che T. avrebbe per un’ ultima volta voluto stringere e, magari con un forte strappo tirare fuori di lì la sua dolcissima e bellissima mamma.
Non riuscirono mai a provare chi fosse l’assassino ma, spesso, T. ne subiva impotente la sua presenza.
Questo sconvolgente evento la trascinò sempre più in una deriva che non trovava ostacoli anche i Servizi Sociali erano sempre un passo dietro di lei. Tante furono le comunità terapeutiche, tante le fughe, tanti i furti per procurarsi la droga ed il carcere e poi ancora la comunità.
Conosce un uomo più grande di lei e per un po’ sente di potersi affidare, una storia intensa, rassicurante quanto breve, V. muore in pochi mesi e la disperazione la porta sulla strada.
Qualche anno fa sembrava esserci stata finalmente una svolta, l’incontro con P. anche lui ospite di una comunità, aveva acceso una piccola speranza, aveva aperto un inaspettato spazio alle emozioni e di colpo T. si era sentita meno sola. Il percorso fatto insieme si apre ad un progetto di vita e decidono, troppo presto di uscire dalla comunità per andare a vivere insieme. Questo incontro rivelò tutta la sua forza nelle rispettive fragilità e dopo poco produsse un’alleanza perversa che non si modificherà neanche dopo la nascita della bambina.
I S.S. debbono subito occuparsi della piccola poiché alla luce conosce il disagio di una crisi di astinenza.
Con l’aiuto dei familiari di P. provano ad allevare la piccola in un altalenante cammino di cadute e tentativi di ripresa ma, il male che si allea diventa una catena che li immobilizza spingendoli solo verso il fondo. Persino l’anziano suocero trova nella dipendenza di T. il suo sporco vantaggio ed il bisogno di soldi ha un ulteriore prezzo per il suo corpo oltremodo abusato.
La piccola M. è una luce che non trova spazio nella vita di T. e neanche dopo l’arresto del compagno, che poteva rappresentare un elemento di distanza utile a ritrovare un cammino personale di uscita, T. riesce ad alzare lo sguardo verso il cielo. La detenzione di P. rappresenta per lei un altro abbandono l’ultimo per il quale scegliere di varcare definitivamente quella porta oltre la quale affogare nel buio del suo male.
Un buio fatto di vuoto senza fine dove il dolore non ha suono.
Mi volto a guardarla ondeggiare con il suo passo barcollante naufragare nel suo male infinito.
Ida Floridia

Arienzo Ritiro spirituale 19/09/2010


Domenica 19 settembre la nostra fraternità si è ritrovata ad Arienzo per dare il via al nuovo anno sociale. In un clima di serenità e disponibilità all’ascolto e all’azione abbiamo meditato sul Vangelo del giorno. P. Giacinto De Luca ci ha invitato a vivere intensamente la preghiera e la fraternità aprendoci agli altri. La festa di S. Francesco del 4 ottobre segnerà definitivamente l’inizio del nuovo anno sociale.